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I mass media hanno fatto la loro parte e alla fine dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri giovedì la stretta del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sulla concessione degli arresti domiciliari, che punta a coinvolgere la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Il culmine del bombardamento mediatico è stato raggiunto con la trasmissione “Non è l’arena”, condotta da Massimo Giletti. Un programma tv dove sono stati invitati al dibattito tutte persone che sulla questione hanno un’opinione simile (non erano presenti né giuristi, né magistrati di sorveglianza e nemmeno il Garante nazionale dei detenuti), tra i quali il capo del Dap Francesco Basentini che ha avuto, però, la sfortuna di diventare capro espiatorio del presunto scandalo. Tutto è partito da un articolo de L’Espresso relativo ai domiciliari per motivi di salute concessi a un recluso al 41 bis. Parliamo di Francesco Bonura, passato dal regime speciale alla detenzione domestica nei giorni scorsi proprio per le sue gravi condizioni. Un provvedimento della magistratura di sorveglianza limpido e motivato. Ma si è fatto leva sull’emotività e anche sull’ignoranza del tema per creare polemiche. A questo si è aggiunta anche il caso dei domiciliari concessi al boss Pasquale Zagaria. Eppure anche questo provvedimento non dovrebbe rappresentare nulla di scandaloso visto che, alla luce dei principi costituzionali, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha concluso ritenendo sussistenti i presupposti di operatività dell’articolo 147 c. 1 n. 2 c.p. – tali da giustificare il differimento della pena per grave infermità fisica – essendosi in presenza di una patologia grave e qualificata che richiede al detenuto un iter diagnostico e terapeutico che viene definito “indifferibile”. Come ha relazionato il magistrato Riccardo De Vito del tribunale di sorveglianza di Sassari, il differimento della pena è dovuto dal fatto che a Zagaria non è stato destinato un luogo di cura idoneo proprio come richiesto dagli avvocati. Alla luce di ciò, «lasciare il detenuto in tali condizioni – si legge nell’ordinanza – equivarrebbe esporlo al rischio di progressione di una malattia potenzialmente letale, in totale spregio del diritto alla salute e del diritto a non subire un trattamento contrario al senso di umanità», non essendovi dubbio che «permanere in carcere senza la possibilità di effettuare ulteriore e “indifferibili” accertamenti equivale ad esporre il detenuto a un pericolo reale dal punto di vista oggettivo e a un’incognita di vita o morte del tutto intollerabile e immeritata per ogni essere umano». Ma oramai la valanga ingiustificata di indignazioni ha sortito i suoi effetti. Il ministro Bonafede, per assecondare gli animi, ha promesso che farà di tutto per rendere più difficile la concessione dei domiciliari a chi attualmente si trova al 41 bis. Non importa sapere, come detto, che i provvedimenti che hanno creato indignazione sono stati concessi per gravi motivi di salute. Per chi si è macchiato di reati mafiosi, il diritto alla salute diventerà un optional. Le norme, che potrebbero essere contenute in un prossimo decreto legge, dovrebbero limitare la discrezionalità del magistrato di sorveglianza. Ovvero che tutte le decisioni relative a istanze di scarcerazione di condannati per reati di mafia saranno sottoposte, per il via libera, sia alla Procura nazionale Antimafia e Antiterrorismo, sia alle singole Procure distrettuali Antimafia e Antiterrorismo. Tradotto, chi è al 41 bis o in alta sorveglianza difficilmente potrà ottenere un via libera da chi lo ha tratto in arresto. C’è da ricordare però che l’articolo111 della Costituzione stabilisce che il legislatore deve garantire la celebrazione del “giusto processo” affidando la decisione ad un giudice assolutamente neutrale. La terzietà del giudice penale è una terzietà diversa da quella dei giudici di sorveglianza: rendere vincolanti i pronunciamenti del Procuratore distrettuale o nazionale Antimafia significherebbe snaturare la terzietà del giudice di sorveglianza. Il problema, di fondo, è che è inimmaginabile, per un governo, muoversi a seconda delle indignazioni del momento. Non si possono fare interventi normativi in base a degli articoli di giornale o le trasmissioni televisive che hanno anche il potere di fuorviare e veicolare l’opinione pubblica. Altrimenti l’esercizio del potere esecutivo rischierebbe di diventare il terreno d’intervento privilegiato dei gruppi di pressione di ogni parte. La democrazia rischia di collassare e quindi di sostituirsi con la “dittatura della maggioranza”. Ed è così che lo Stato di Diritto muore e avanza sempre di più quello di Polizia.