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Davigo si difende. E ne ha diritto. Ma nel suo intervento a Piazzapulita di quattro sere fa difende anche la magistratura, la capacità di controllo e sanzione dell’ordine giudiziario. E su questo secondo versante è più esposto a critiche. Dice che sul “caso Procure” i magistrati, a differenza della politica, hanno offerto una risposta esemplare e tempestiva: «I componenti del Csm che erano stati coinvolti in quella vicenda si sono dimessi, e come magistrati sono sottoposti a procedimento disciplinare. C’erano due politici, non mi consta che i loro partiti abbiano detto alcunché». Un momento. A parte il fatto che quanto a tempestività siamo messi così male da vedere ora il processo disciplinare ai 5 ex togati messo a serio rischio annullamento.
Dopodiché dovremmo riproporre, come ogni tanto si è costretti a fare, un’intervista che Giovanni Maria Flick ha concesso al nostro giornale. È davvero incredibile, ha detto il presidente emerito della Consulta, la lentezza con cui sia l’Anm sia il Csm si sono ricordate che esistono un accertamento deontologico e uno disciplinare. Davigo fa vanto al Csm della meravigliosa macchina sanzionatoria abbattutasi sul Palamara. Ma certo non ci si può rallegrare del solo vero primato stabilito da quel procedimento: l’incredibile compressione del diritto di difesa.
Neppure un teste ammesso su 133 richiesti, tranne i 5 su cui l’accusa era concorde.
Motivo: non si è ritenuto opportuno processare l’intero sistema, ci si doveva limitare alla cena con Cosimo Ferri. Sarebbe questa la grande capacità di autocritica della magistratura? Davigo non è componente del Csm, almeno per ora. Con la sua intelligenza può permettersi di essere molto più obiettivo.