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Dopo aver vinto nel 2016 le elezioni per il rinnovo dell’Anm, l’anno scorso l’exploit a quelle per il Csm: da 3 a 5 consiglieri, di cui uno eletto per la prima volta nel collegio di legittimità.
Stiamo parlando di Magistratura indipendente, la corrente moderata delle toghe, di “destra” per i detrattori. Protagonista di una parabola che sorprende per alcune singolari e suggestive analogie con il percorso della Lega di Salvini. Fino ad alcuni mesi fa, infatti, il gruppo di “Mi” era considerato in uno stato di grazia per la continua sequenza di successi, coronata dall’elezione di un proprio esponente, Pasquale Grasso, al vertice dell’Anm.
Finché il caso Palamara ne ha più che dimezzato la pattuglia al Consiglio superiore, a vantaggio del gruppo “anti- sistema” di Autonomia e indipendenza, e ne ha anche determinato l’uscita dalla giunta dell’Associazione magistrati, con il subentro del “progressista” Luca Poniz allo stesso Grasso.
Ora, è chiaro che nel caso di Salvini la continua crescita nei sondaggi è stata stroncata da una vicenda politica pura, del tutto immune da vicende giudiziarie. Eppure è impossibile resistere alla suggestione di un percorso che, quasi contemporaneamente, vede la destra, cioè la Lega, passare in pochissimo tempo dall’invincibilità all’uscita dal governo, a vantaggio degli “anti- sistema” grillini e dei progressisti dem, pronti ormai a subentrarle nel governo del Paese proprio come i gruppi di “AeI” e Area- Md hanno fatto ai danni di Magistratura indipendente.
Nel campo delle toghe, la corrente moderata si trova ora in un’amara contraddizione. Nell’ultimo anno e mezzo, con la propria linea programmatica, aveva riscosso straordinari successi sia nel voto per le sezioni locali dell’Anm sia in quello per il Csm.
Aveva guadagnato il consenso fra i magistrati più giovani e, soprattutto, fra quelli volutamente lontani dalle polemiche politiche. Perché, va ricordato, fra i quasi diecimila magistrati in servizio, quelli che non si appassionano allo scontro con la politica sono la maggioranza.
La linea della segreteria era chiara: i magistrati devono esercitare la giurisdizione senza invasioni di campo. È “inopportuno” che, per esempio, i colleghi di Magistratura democratica, la corrente più di sinistra, esternino su tematiche squisitamente politiche, come l’immigrazione e la legittima difesa, disse l’allora segretario di “Mi” Antonello Racanelli.
Meglio dedicarsi a temi di stretto interesse per le toghe, come i carichi esigibili, ossia il numero di fascicoli che un magistrato può trattare efficacemente in un determinato lasso temporale. Approccio “sindacale” che ha dunque raccolto i frutti nelle urne.
Determinante per l’elezione di David Ermini alla vicepresidenza del Csm, “Mi” aveva anche intravisto la possibilità di raggiungere la meta agognata da decenni: la presidenza della quinta commissione di Palazzo dei Marescialli, preposta alle nomine degli uffici giudiziari.
Con l’attuale assetto iper gerarchizzato delle Procure, dove al capo è attributo anche il potere di indicare, in deroga al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, criteri di priorità nella trattazione degli affari, è di tutta evidenza che la scelta di un procuratore rispetto che ad un altro possa fare la differenza.
Il vento in poppa era proseguito con l’elezione di Pasquale Grasso, un giudice dopo tanti pm, a presidente dell’Anm. Insomma, tutto bene fino allo scorso maggio quando il trojan installato nel cellulare di Luca Palamara, consigliere uscente del Csm ed ex presidente dell’Anm, indagato a Perugia per corruzione, ha registrato le conversazione fra lui, i parlamentari dem Luca Lotti e Cosimo Ferri, quest’ultimo storico leader di “Mi”, e alcuni togati della stessa “Mi” e di Unicost.
Allo stato, per i consiglieri della corrente moderata, nulla di penalmente rilevante. Ma “l’interlocuzione” con dei parlamentari è stata ritenuta non consona. Fino alla conseguenza devastante: dimissioni dei togati che avevano partecipato all’incontro con i politici e ribaltamento dei rapporti di forza in plenum, con la nuova maggioranza formata da Area e davighiani.
Non resta che attendere le elezioni suppletive del prossimo ottobre, dove bisognerà eleggere i sostituti dei consiglieri dimissionari, per capire cosa succederà nella magistratura nei prossimi tre anni. Un po’ come al governo.