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Da combattenti in prima linea contro il virus a imputati in tribunale. Il timore degli oltre 400mila medici italiani è che l’emergenza sanitaria possa presto trasformarsi in emergenza giudiziaria, visti i casi di operatori sanitari colpiti da richieste di risarcimento danni da pazienti malati di Covid-19 e non. A porre l’attenzione sul tema è Cristiano Cupelli, docente di Diritto penale all’università di Tor Vergata, intervenuto a una conferenza su Zoom proposta dal gruppo di lavoro guidato da Stefano Margaritora, direttore della UOC Chirurgia toracica del policlinico Gemelli. «Durante l’emergenza coronavirus molti medici si sono prestati a svolgere compiti impropri - spiega Cupelli, il cui intervento si è riferito allo “Stato dell’arte sulla situazione giuridica in tema di responsabilità medica” - abbiamo letto di oculisti impiegati in mansioni diverse dalle consuete, fino agli specializzandi e ai neoleaureati inviati “in trincea” per combattere il virus nato nei mercati del pesce di Wuhan. L’attuale norma che consente al personale medico di non rispondere penalmente in caso di lesioni colpose non è adeguata». Lo scopo dunque è quello di portare in superficie le controversie sulla responsabilità penale dei medici, ma guai a parlare di “scudo penale” per gli operatori sanitari. «La volontà non è quella di creare una norma che estingua automaticamente le colpe - sottolinea infatti Cupelli - ma creare un regolamento razionale che consenta, anche quando l’emergenza sarà finita, di non trasformare irragionevolmente i medici-eroi in capri espiatori». A questo proposito, secondo il docente universitario sono tre i principi a cui dovrebbe adeguarsi la nuova norma: innanzitutto creare un collegamento funzionale e cronologico con il periodo emergenziale; in secondo luogo, limitare la responsabilità penale dei medici al solo dolo o colpa grave tramite indici legati alla situazione attuale; infine estendere la non responsabilità penale anche al reato di epidemia colposa, non presente nella norma in vigore. Una piccola rivoluzione insomma, che tuttavia i medici propongono da tempo e sulla quale negli ultimi mesi pongono l’accento con sempre maggiore insistenza. Gli operatori sanitari colpiti da Covid-19 rappresentano infatti il 10% dei malati e sono 150 i medici che hanno perso la vita nella lotta al virus. E l’hanno fatto, soprattutto nella primissima fase dell’emergenza, senza adeguate strumentazioni, con mancanza di protocolli e carenza di dispositivi di protezione. Per questo, in una fase di rallentamento dell’epidemia in Italia, chiedono un nuovo regolamento che non integri ma sostituisca quello esistente. «Il nostro Paese è uno dei pochi in un cui la responsabilità dei medici è giudicata penalmente - commenta Margaritora - ci troviamo di fronte a una situazione già nota, che durante l’epidemia si è ulteriormente aggravata». Tanto da portare alla decisione di riunire operatori sanitari, avvocati e magistrati per fissare dei paletti oltre i quali non è possibile andare. «Si è creato un meccanismo pericoloso - continua il medico - che potrebbe indurre i medici a una medicina “difensiva”. Reputo poco giusto e poco generoso che un medico si trovi ad affrontare denunce di questa gravità dopo i grandi sacrifici fisici e morali affrontati durante l’emergenza». Già la Legge Gelli, norma attualmente in vigore, mirava ad arginare il ricorso alla medicina difensiva, cioè la condotta del medico che evita di eseguire interventi ritenuti ad alto rischio per non incorrere in azioni negativi nei confronti del paziente imputabili direttamente al medico. Ma l’epidemia di coronavirus ha stravolto le pratiche nei corridoi ospedalieri, tanto che gli operatori sanitari si sono trovati a lavorare in condizioni difficilmente ascrivibili ai parametri della normativa vigente. Da qui l’idea del webinar, che ha coinvolto anche personalità di spicco come Rocco Blaiotta, già magistrato di Cassazione, e Nunzia d’Elia, procuratore aggiunto a Roma ed esperta di reaza di avvocati in materia sanitaria. La presenti penalisti del foro di Brescia ha permesso inoltre di offrire il punto di vista di chi ha vissuto l’emergenza nei territori più colpiti, e la multidisciplinarità dei presenti, seppur “virtuali”, ha avuto lo scopo di tratteggiare un quadro completo da presentare ai legislatori, creando un movimento di opinione referenziata e trasversale. Il dibattito è aperto.