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«Ci siamo "autosospesi" dal Consiglio superiore della magistratura per esclusivo senso istituzionale: vogliamo ricordare che legge istitutiva del Csm non contempla alcuna ipotesi di ‘ autosospensione’, disciplinando solo i casi di ‘ sospensione’ dei consiglieri», fanno sapere i togati di Magistratura indipendente Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli e Antonio Lepre. «Visto che fino a oggi si sta discutendo del nostro destino solo sulla base di notizie di stampa, chiediamo di poter leggere le carte trasmesse dalla Procura di Perugia a Palazzo dei Marescialli».
I tre consiglieri, dopo aver ricevuto il pieno sostegno dell’assemblea di “Mi” tenutasi lo scorso sabato, provano dunque a uscire dal polverone mediatico- giudiziario che gli si è riversato addosso in questi giorni. Secondo quanto riportato da alcuni giornali, insieme al togato di Unicost Gianluigi Morlini, che proprio ieri ha lasciato il suo gruppo, Cartoni, Criscuoli e Lepre hanno incontrato i parlamentari dem Cosimo Ferri e Luca Lotti per discutere della nomina del nuovo procuratore di Roma. Tutti e quattro i consiglieri da giorni continuano a ripetere che non vi è stato alcun condizionamento nella scelta del successore di Giuseppe Pignatone. Secondo il presidente dell’Anm Pasquale Grasso, invece, la sola presenza di un imputato come Lotti sarebbe stata però sufficiente a decidere di allontanarsi. «Se mi fossi trovato in quella stanza, sarei andato via anche se si fosse parlato di sport», ha detto Grasso.
La giunta Anm, che da quanto risulta non ha letto gli atti di Perugia, ha comunque subito bollato il comportamento dei quattro togati come «indegno». Grasso, per tale dura presa di posizione, sabato è stato “sfiduciato” dalla sua corrente. Corrente che per tutta risposta ha abbandonato domenica sera. Fatto che complicherà la sua permanenza come presidente Anm, in quadro in cui gli altri due gruppi che sostengono la giunta, Area e Unicost, hanno già comunicato di non essere intenzionati ad andare avanti.
In attesa, quindi, che il comitato di presidenza autorizzi la visioni degli atti, due sono le considerazioni sul caso Csm. Riguardo la sospensione, quella “di diritto” è deliberata dal plenum nei casi di togati sottoposti a procedimento disciplinare, ma solo se sospesi cautelarmente. La decadenza di diritto, che richiede sempre il voto del Csm, risulta invece subordinata all’esistenza di una condanna a una sanzione disciplinare più grave dell’ammonimento. C’è, poi, una sospensione “facoltativa” che è deliberata a scrutinio segreto dal Csm, a maggioranza dei due terzi. Quindi, allo stato, nessun provvedimento può essere preso a carico dei quattro togati.
Sui colloqui fra i dem e i consiglieri del Csm registratati con il telefono di Palamara, va poi considerato quanto indicato nelle guarentigie per i parlamentari: l’articolo 68 della Costituzione norma anche le intercettazioni “indirette”, intese come captazioni delle conversazioni effettuate attraverso utenze dei suoi interlocutori abituali e come intercettazioni “casuali” o “fortuite”: in questi casi l’autorità giudiziaria non potrebbe, neanche volendo, munirsi preventivamente dell’autorizzazione della Camera di appartenenza.
Sullo sfondo, intanto, restano i rapporti di forza all’interno del Csm. «Area vuole un regolamento di conti», secondo Antonello Racanelli, segretario di “Mi”, convinto che con le dimissioni dei “suoi” consiglieri entrerebbero a Palazzo dei Marescialli togati “davighiani” o del gruppo progressista. «I magistrati italiani, preferendo alle elezioni “Mi”, hanno detto che non ne vogliono più sapere della politicizzazione, e utilizzare l’inchiesta di Perugia per ribaltare il voto sarebbe antidemocratico», è la linea di Racanelli.