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Davigo
«Il senatore Morra ricorda cose fantasiose: non gli ho mostrato nessun verbale». In quella che sembra la nuova telenovelas delle toghe irrompe un nuovo colpo di scena. Perché dopo la “confessione” di Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare antimafia, che ha affermato davanti ai pm romani - e in tv - di aver saputo dall’ex magistrato Piercamillo Davigo dei verbali di Piero Amara, arriva la smentita dell’ex consigliere del Csm. Secca, senza ammissione di repliche, dura. Al punto da minacciare querela a chi, come Matteo Renzi, ha iniziato a ironizzare sul suo giustizialismo a «corrente alternata». La smentita di Davigo arriva sempre in tv, a Di Martedì, dove l’ex pm di Mani Pulite ricostruisce il famoso incontro con Morra «nella tromba delle scale» di Palazzo dei Marescialli ridisegnandone i contorni. «Il senatore Morra, presidente della commissione Antimafia, è venuto da me e voleva in quel momento parlare con Ardita, con il quale avevo interrotto i rapporti perché in passato si erano verificati alcuni fatti che avevano fatto venire meno il rapporto fiduciario - ha spiegato Davigo -. Morra voleva che parlassimo insieme con Ardita, siccome insisteva, l’ho preso in disparte e gli ho chiesto di uscire dalla mia stanza. Non gli ho fatto vedere alcun verbale per la semplice ragione che il senatore Morra dice che non gli ho detto di che Procura si trattava. Ora si dà il caso che sui verbali c’è scritto su ogni foglio qual è la Procura». Secondo la versione di Morra, Davigo, tirando fuori da un armadio i dei fogli non firmati, gli avrebbe indicato il nome di Sebastiano Ardita, consigliere del Csm, indicandolo come appartenente ad una loggia segreta. Si tratterebbe della fantomatica loggia “Ungheria”, indicata dall’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara come composta da magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, avvocati e politici e in grado di pilotare le nomine di mezzo Paese. Quei verbali, ora al centro di tre diverse indagini a Roma, Perugia e Brescia, sono stati consegnati da Paolo Storari, pm meneghino, a Davigo, lamentando un’inerzia nelle attività d’indagine attribuita dal pm al suo capo, il procuratore Francesco Greco. Così, anziché seguire le vie ufficiali previste - la lamentela sarebbe dovuta arrivare alla procura generale di Milano e al comitato di presidenza del Csm -, tutto è avvenuto all’ombra, con l’intento, ha spiegato Davigo, di proteggere le indagini. Ma ora è proprio l’ex pm di Mani Pulite ad essere finito nel mirino, con l’accusa di aver divulgato informazioni segrete, ovvero quanto contenuto in quei verbali. Accusa che Davigo respinge con forza, smentendo, in questo caso, il suo amico Morra. «L’ho fatto uscire e gli ho spiegato che oltre alle altre ragioni per cui non volevo parlare con Ardita c’è anche una questione che potrebbe riguardare una associazione segreta. E gli ho ricordato che nella sua qualità di pubblico ufficiale, come presidente dell’Antimafia, era tenuto al segreto. Non l’ho detto al bar, l’ho detto al presidente della commissione Antimafia - ha spiegato -. Ho fatto di tutto per mantenere segreti questi verbali. È folle pensare che possa c'entrare con la loro divulgazione. Non ho divulgato un bel niente. Sono rimasto basito per i fatti che sono accaduiti: se è stata la mia segreteria, non me ne capacito. Mi sembrava di assoluta affidabilità, era una funzionaria del Csm ed ha sempre avuto da tutti parole di elogio». Marcella Contrafatto, ex segretaria di Davigo, è infatti accusata dalla procura di Roma di calunnia per aver spedito quei verbali a Repubblica e Fatto quotidiano, nonché al consigliere del Csm Nino Di Matteo, che ha poi svelato tutto nel corso del plenum, denunciando un attività di dossieraggio a danno di Ardita. Tornando alle lamentele di Storari, sevondo Davigo «l’iscrizione della notizia di reato deve avvenire immediatamente dice il Codice, non è che il pubblico ministero può decidere di non procedere. Se decide di non procedere deve chiedere l’archiviazione al giudice - ha evidenziato -. Storari mi dice che è seriamente preoccupato perché da mesi sono state raccolte dichiarazioni gravi, gravissime se false, e che non era stata ancora iscritta la notizia di reato. Innanzitutto mi chiese un consiglio. Io gli consigliai di mettersi al riparo dai guai che sarebbero finiti sulla sua testa, mettendo per iscritto al procuratore quello che finora aveva detto verbalmente, cioè che bisogna iscrivere. Cosa che lui mi ha assicurato di aver fatto con diverse mail. Non si poteva seguire la via ordinaria perché non poteva mandarla al procuratore, visto che era la persona con cui aveva il dissenso, il procuratore generale non c’era, la sede era vacante, e nella mia esperienza è difficile che il reggente prenda decisioni che creino situazioni irreversibili. Nell’ipotesi migliore avrebbe detto “aspettiamo che arrivi il nuovo procuratore generale”. Lui - ha aggiunto Davigo - aveva già detto molte volte che bisognava iscrivere e l’iscrizione non avveniva. All’inizio di maggio vado a Roma, chiedo a Storari se l’iscrizione era avvenuta e lui mi dice di no. Allora chiamo il vicepresidente del Csm e lo prego, appena arriverà a Roma, di contattarmi perché gli devo parlare di una cosa urgente e importante». Secondo quanto riferito dall’ex pm, il vicepresidente del Csm David Ermini avrebbe ricevuto i verbali, circostanza che il numero due di Palazzo dei Marescialli ha finora sempre smentito, ribadendo che l’unica via da seguire era quella ufficiale. E avrebbe informato anche il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi - che a maggio 2020 ha contattato Greco, ottenendo, poco dopo, l’apertura del fascicolo con l’iscrizione di tre persone sul registro degli indagati - e il primo presidente Pietro Curzio. Sulla credibilità di Amara, invece, Davigo è chiaro: «Sarà anche stato screditato ma fino a quel momento, e anche dopo, la Procura di Milano lo ha ritenuto attendibile sia in una relazione che ha fatto sia indicandolo come teste in un importante processo». Per giustificare il proprio comportamento, Davigo e Storari tirano in ballo una circolare del 1994, «scritta per i casi ordinari non per i casi eccezionali come questo. Il risultato è quello di farlo avere al Comitato di presidenza. Spedirlo per posta? Tutte le altre amministrazioni che trattano segreti, come Difesa, Esteri e Interni, usano particolari procedure come area riservata, materiale classificato. L’amministrazione della Giustizia non ha niente di tutto questo. Credo che mandare una roba di questo genere per posta sarebbe stata una follia. Bisognava parlare di persona. La regola è informare il Consiglio, le modalità per ragioni importanti possono essere derogate. L’importante era informare il Consiglio - ha concluso -. Storari voleva mettersi al riparo dai guai perché se la sarebbero presa con lui se l’iscrizione non avveniva, in secondo luogo io non gli ho detto “tira fuori o nascondiamo qualcosa”, ma informiamo il comitato di presidenza che è l’organo che poi deve decidere il da farsi. Non era possibile attivare una pratica immediatamente per una ragione semplicissima, perché nelle dichiarazioni erano indicati come appartenenti a questa associazione segreta due componenti del Consiglio. Si sarebbero dovute convocare commissioni e consigli escludendo queste persone per la necessità di mantenere il segreto. Tanto che nessuno dei componenti del comitato di presidenza, compreso il procuratore generale (Salvi ndr) si è sognato di dirmi di formalizzare».