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Giustizia in stato d’agitazione. Senza norme di riferimento, né protocolli da seguire e i casi di contagio nelle procure e nei tribunali in aumento. Così si corre ai ripari, con chiusure strategiche e il tentativo di ridurre al minimo sindacale gli accessi ai palazzi, spostando online, quanto più possibile, l’attività. Il tutto mentre il Guardasigilli sta lavorando con l’obiettivo di aumentare le attività eseguibili da remoto, come la possibilità di consentire l’accesso da casa ai cancellieri anche per i registri penali, che richiede un investimento sul fronte della sicurezza per evitare possibili attacchi informatici. Si tratta, per ora, solo di dichiarazioni di intenti, prendendo a modello, quanto più possibile, quanto già avviene nel settore civile. Il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, con una circolare, ha confermato la volontà di «non abbandonare il fruttuoso percorso, già avviato, di remotizzazione del processo e del lavoro del personale di magistratura e dipendente». La novità è che gli applicativi da remoto saranno ora disponibili anche per alcuni registri di cancelleria, attraverso la distribuzione agli uffici 3.000 pc portatili (altri 5.000 saranno a breve diffusi), grazie ai quali «a breve potranno certamente essere disponibili e utilizzati da remoto anche i registri di area civile Sicid, Siecic e Sigp e le Consolle unificate di amministrazione ( Cua) Sici e Secic». Applicativi che consentiranno «la gestione remotizzata di tutta l’area dei registri civili, volontaria giurisdizione, fallimentare ed esecuzioni e dei servizi civili del giudici di pace». Tali servizi andranno ad aggiungersi a quelli dell’area amministrativa e generale già resi disponibili da remoto dal 9 marzo e per ora, però, poco sfruttati: pur avendo «accreditando nei sistemi stessi circa 10.040 unità di personale rispetto alle oltre 32.200 in servizio», conclude la circolare, ad oggi gli «effettivi utilizzatori dei sistemi da remoto sono in numero assolutamente inferiore».
Tra le intenzioni del ministro ci sarebbe anche quella di consentire il deposito di atti via pec anche nel penale, equiparandolo al deposito cartaceo in cancelleria, con la possibilità di aprire nuovamente alle udienze da remoto, nel caso in cui fosse assolutamente necessario. Lo scopo è, ovviamente, evitare di tornare ad una chiusura totale, così accaduto durante il lockdown. Un’urgenza manifestata soprattutto dall’Unione delle Camere penali, che nei giorni scorsi ha scritto una lettera al ministro Alfonso Bonafede chiedendo un decreto legge per il deposito a mezzo pec degli atti processuali, quali impugnazioni, memorie, istanze e documenti. «Non abbiamo avuto nessun riscontro - ha spiegato al Dubbio Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Ucpi -. Abbiamo chiesto un incontro e stiamo predisponendo un testo per le modifiche che riteniamo tecnicamente indispensabili per l’accesso smaterializzato agli uffici». Il principale timore, allo stato attuale, è che si torni a «forme di sospensione o di riduzione dell’attività processuale», un disastro in una situazione già collassata da anni e peggiorata dal lockdown. «È indispensabile mettere gli avvocati nelle condizioni di poter accedere il meno possibile agli uffici, ma non riceviamo risposte», ha aggiunto Caiazza. E sul rischio di ritorno al processo da remoto anche per il penale, il leader di Ucpi è lapidario: «Mi aspetto di tutto». Temono un blocco anche i giovani avvocati, che a seguito della proroga del periodo emergenziale al 31 gennaio 2021 hanno registrato, da parte di alcuni Uffici Giudiziari, i primi provvedimenti di rinvio. «La giustizia non può e non deve fermarsi - ha commentato il presidente Aiga, Antonio De Angelis -. Rinviare i procedimenti equivale ad una denegata giustizia per cui auspichiamo che il Guardasigilli prenda immediatamente i più opportuni provvedimenti, univoci su tutto il territorio nazionale, affinché non si ripeta quanto già accaduto a marzo».
Milano è solo la punta dell’iceberg dei disagi vissuti in queste settimane: il procuratore Francesco Greco, ieri, ha diramato una circolare con la quale ha regolamentato la stretta agli accessi, dopo il contagio, in pochi giorni, di cinque magistrati - l’ultimo ieri, con conseguente chiusura di uno dei corridoi del quarto piano con un nastro e l’isolamento di una scala laterale, bloccata con alcune spranghe -, un ufficiale di pg, un paio di magistrati ordinari in tirocinio, due tirocinanti e due giudici. Mentre a Napoli, dopo la notizia di un caso di positività, un intero piano è stato chiuso in fretta e furia, con rinvio delle udienze già in corso e grande agitazione tra gli avvocati presenti. Greco, dal canto suo, ha regolato il rapporto tra gli avvocati e gli uffici della procura disponendo il ritorno all’interlocuzione digitale, con contatti solo via email o al telefono e appuntamenti in presenza concordati, «tenuto conto dell’evoluzione della situazione sanitaria» che attraversa una «fase critica», si legge nella circolare, valida fino al 15 novembre.