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Provenzano
Per ora è un sassolino, ma può diventare una valanga la sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il trattamento inumano cui fu sottoposto negli ultimi anni di vita Bernardo Provenzano. Sotto accusa l’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, applicato al boss di Cosa Nostra fino alla morte, cioè non a una persona ma a un corpo. Un corpo ridotto allo stato vegetale, come documentato da diversi referti medici e dalle dichiarazioni al nostro giornale dallo stesso dottor Rodolfo Casati, primario della sezione detenuti dell’ospedale S. Paolo di Milano dove Provenzano era ricoverato.
La parola “tortura” è nell’aria. Lo è dal 1992, quando l’articolo 41 bis fu introdotto nel nostro ordinamento all’interno di un provvedimento che ricordiamo come il più liberticida della storia legislativa italiana e che prese il nome dai due ministri di interni e giustizia, Scotti e Martelli. Se volgiamo lo sguardo all’indietro, tenendo un occhio anche sull’oggi, vediamo un Parlamento agli sgoccioli della prima repubblica, popolato da partiti in gran parte oggi ormai estinti, sgomento per le inchieste di tangentopoli e le stragi di mafia. In quel Parlamento piombò con la forza di una bomba un decreto del governo che pensò, dopo la strage di Capaci, di combattere la mafia non con una vera capacità di forza che portasse all’arresto dei boss perennemente latitanti, ma con un provvedimento legislativo incostituzionale in quanto retroattivo, che bloccava i benefici della riforma carceraria nei confronti di detenuti ormai lontani dal loro passato, introduceva l’ergastolo ostativo ( una pena a morire in carcere) e l’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario.
Quel decreto, nato dopo l’uccisione di Falcone, divenne legge, con una votazione frettolosa, dopo la morte di Borsellino. Ancora una volta le leggi furono “scritte dalla mafia”, che ne determinò i tempi. Pure, in quel Parlamento ormai ridotto a un colabrodo, esistevano i radicali, esistevano i socialisti e qualche liberale, e si fecero sentire. In ogni caso, una Rifondazione ancora garantista votò contro e un Pds non del tutto omogeneizzato alle Procure, scelse l’astensione. La discussione appassionata ( anche molti magistrati erano dubbiosi) fu troncata solo dalla strage di via D’Amelio. Senza la quale forse oggi quelle norme non esisterebbero. Ma quei parlamentari, che oggi un viceministro non uso a stancarsi sui testi sprezzantemente definisce “dis- onorevoli” e “parassiti”, non si sarebbero mai permessi di trattare con supponenza una decisione della Cedu, che ha a cuore i diritti della persona e si batte contro i comportamenti disumani degli Stati. Era già capitato che la Corte intervenisse sull’Italia per le torture inflitte negli anni 1992 e 1993 nelle carceri speciali di Pianosa e Asinara. Lo Stato aveva impugnato l’articolo 41 bis come un manganello, come in veri lager, dove i detenuti venivano costantemente picchiati con brutalità, privati di cibo, costretti a bere acqua sporca e privati del diritto all’igiene con il ricambio di biancheria. Da allora, per chi è sottoposto a quel regime, i colloqui si effettuano attraverso i vetri, anche per chi, come Provenzano, non era più in grado di parlare. Forse non ci sono più le botte ( o forse non sempre), ma una costante mortificazione del corpo e dello spirito, con la privazione delle sufficienti ore d’aria e l’impedimento alla socialità e ad attività di qualunque tipo, lavorativo o culturale. Una violazione costante dei principi costituzionali che pare ormai apprezzata da tutto quanto il Parlamento. Ma ricordiamo sempre che esiste anche l’attività politica degli “extraparlamentari”, come quella del Partito radicale che presenta 8 proposte di legge per riformare, tra l’altro, proprio le norme sull’ergastolo ostativo e l’articolo 41 bis. Una minoranza? Chissà… a volte il sassolino diventa valanga.