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Nessun rinvio a giudizio, anzi, nessuna udienza preliminare si è ancora svolta. Ma a Reggio Emilia le udienze del processo - dato per certo - “Angeli e Demoni” hanno già un giudice. Il tutto nonostante non sia dato sapere, ancora, se e quante persone verranno rinviate a giudizio e chi sceglierà riti alternativi a quello ordinario. A stabilirlo un documento, firmato dal presidente del Tribunale Cristina Beretti, che ha spinto uno dei difensori dell’assistente sociale Federica Anghinolfi, figura principale dell’indagine, ad annunciare l’istanza di rimessione del processo, a causa delle eccessive pressioni ambientali. E ad associarsi all’indignazione di Mazza e della collega Rossella Ognibene è anche l’Unione delle Camere penali italiane, convinta come i due penalisti che tale documento costituisca «l’ennesima» violazione di due principi sacri: «la presunzione di non colpevolezza e la precostituzione del giudice naturale».
«Non voglio comprendere quali siano i motivi - spiega Mazza al Dubbio - ma questo provvedimento è un atto grave, in quanto dà per scontato che gli imputati siano colpevoli e che verranno rinviati a giudizio, considerando praticamente inutile l’udienza preliminare». Il documento, che rappresenta una «proposta di variazione tabellare provvisoriamente esecutiva», riorganizza le assegnazioni, compresa quella relativa ad “Angeli e Demoni”. Che, oltre tutto, viene anche indicata in maniera alquanto semplificata come il «complesso procedimento riguardante i noti fatti di Bibbiano». Bibbiano, città amministrata dal sindaco Andrea Carletti, coinvolto nella vicenda per un’accusa di abuso d’ufficio e una di falso. Nulla a che vedere, dunque, con quel presunto rapimento di bambini per mano di assistenti sociali senza scrupoli. Una cittadina violentata da partiti e media durante le regionali in Emilia, dunque, per una sola “colpa”: essere il Comune capofila dei servizi sociali della Val d'Enza.
La scelta del presidente del Tribunale per il “caso Bibbiano” cade sul giudice Simone Medioli Devoto, «in violazione del principio costituzionale che impone la precostituzione per legge del giudice», affermano Mazza e Ognibene. Il tutto senza esser passati per il via: l’udienza preliminare è fissata il 30 ottobre, mentre il documento a firma del presidente Beretti è datato 7 settembre, quindi quasi due mesi prima. «In questo modo - prosegue Mazza - viene condizionato, magari in maniera non voluta, anche il giudice dell’udienza preliminare, perché viene dato per scontato l’esito che ci si attende da quell’udienza, non prevedendo nemmeno che qualcuno possa decidere di scegliere riti speciali». Secondo Mazza ciò è sintomo di una situazione ambientale tale da riflettersi anche sull’operato della magistratura. Ed è per questo che già il 30 ottobre presenterà la richiesta di spostare il processo ad Ancona, sede naturale in casi di rimessione. Anche perché questo, sottolinea, «è solo l’ultimo dei provvedimenti giudiziari anomali su questo caso». Il riferimento è, ad esempio, all’indagine avviata dalla procura su denuncia della difesa Anghinolfi, che ha lamentato la violazione del segreto investigativo, relativamente alla diffusione in tv delle intercettazioni del caso prima ancora che le stesse venissero depositate. «Ebbene - spiega Mazza -, il procuratore Marco Mescolini ha assegnato la titolarità di questa indagine allo stesso pm del procedimento, ovvero la dottoressa Valentina Salvi. Un’altra anomalia è la notifica dell’avviso di conclusione indagini una settimana prima delle elezioni in Emilia, nonostante le stesse fossero state chiuse da tempo». Insomma, a Reggio Emilia mancherebbe «la serenità necessaria per celebrare il processo. E nella sua abnormità - continua Mazza - questo provvedimento ne è la prova».
E sul punto anche l’Ucpi è d’accordo: «Questo provvedimento presidenziale non solo ci fornisce la notizia che un processo non c’è ancora stato, ma che sicuramente ci sarà, al punto che il Presidente del Tribunale ha preparato quanto necessario perché ci siano i giudici del caso. Il problema, però, è che nessuno degli imputati è ancora stato rinviato a giudizio». Un provvedimento, continua la Giunta dell’Ucpi, fonte «di grave imbarazzo il giudice dell’udienza preliminare, il quale ora conosce quali siano le aspettative del capo dell’ufficio giudiziario al quale appartiene». Ma non solo: l’Unione evidenzia come «nella prassi quotidiana i più rilevanti principi a cui deve ispirarsi il processo penale siano in concreto ignorati. Ritenere che una udienza preliminare possa sfociare unicamente in un decreto che dispone il giudizio e non invece in una sentenza di non luogo a procedere, evidenzia non solo una concezione formalistica e sostanzialmente abrogativa di tale momento processuale - conclude la Giunta -, ma soprattutto l’assenza della minima considerazione per la funzione della difesa ed in ultima analisi della presunzione costituzionale di innocenza». Ma la replica di Beretti non si è fatta attendere: «Il provvedimento a mia firma datato 7 settembre 2020 è una proposta di variazione tabellare, provvedimento imposto dalla circolare del Csm sulla formazione delle tabelle dell’ufficio ogni qualvolta si presenti la necessità di una riorganizzazione - spiega -. La variazione del 7 settembre specifica solo che non è ad oggi possibile stabilire la composizione di questo eventuale collegio posto che uno dei suoi membri è in astensione per maternità e non è prevedibile la data del suo rientro in servizio». E aggiunge: «Non si comprende quale sarebbe la situazione “di grave imbarazzo” del giudice dell’udienza preliminare posto che quel giudice già da tempo era a conoscenza della data e dell’ora dell’eventuale udienza dibattimentale poiché da lui stesso richiesto ex art. 132 disp. att. c. p. p.». Un versione che Mazza smentisce: «Le indicazioni del Csm prevedono che il gup chiede la data dell’udienza dibattimentale all’esito dell’udienza preliminare. Se fosse vero che il gup ha chiesto in anticipo la data del dibattimento sarebbe ancora più grave, in quanto anticiperebbe il giudizio».