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Finalmente sono state depositate le motivazioni della Cassazione che ha accolto il ricorso di un detenuto al 41 bis al quale gli era stato ordinato il divieto di acquisto o ricezione dei giornali di stampa locale, indipendentemente dalla loro provenienza geografica. Parliamo di una ordinanza della corte di assise di Messina fatta nei confronti del boss barcellonese Giovanni Rao, ristretto nella casa circondariale de L’Aquila.
Tale divieto era in ragione del pericolo, segnalato dalla Direzione del carcere, che il detenuto - imputato per reati commessi nel contesto della criminalità organizzata barcellonese - potesse ricevere, in tal modo, notizie relative al clan di appartenenza. A tale provvedimento aveva proposto reclamo, lo stesso Rao, deducendo che il Collegio messinese avesse violato la disciplina dettata dall'articolo 18- ter dell’ordinamento penitenziario e dalle norme, costituzionali e convenzionali (articolo 15 e 111 della costituzione, dell'articolo 10 Cedu), poste a presidio del diritto alla corrispondenza; e prospettando, altresì, l'illogicità dell'ampissima restrizione disposta, siccome riferita a tutti i giornali locali indipendentemente dalla provenienza geografica della testata.
Con ordinanza del gennaio 2019, il Tribunale di Messina rigettò il reclamo proposto da Rao, sottolineando l'esistenza di esigenze di prevenzione dei reati e di sicurezza e ordine interno dell'Istituto. Ciò in considerazione della concreta possibilità che attraverso l'ingresso in istituto di notizie concernenti la cronaca locale, ancorché per mezzo di giornali non riconducibili al territorio di provenienza del detenuto, venisse consentita la circolazione, tra i detenuti, di informazioni relative al clan cui Rao apparteneva; tanto più che i detenuti appartenenti al suo gruppo di socialità sarebbero stati provenienti da differenti aree geografiche.
Tramite l’avvocato Francesco Scattareggia Marchese, il detenuto al 41 bis ha fatto ricorso alla cassazione sottolineando, tra le altre cose, che non si possono adottare tali divieti che incidono su diritti fondamentali della persona sulla base di un "mero sospetto", senza indicare le "concrete" ragioni investigative, di ordine pubblico o di sicurezza, che avrebbero reso necessaria l'adozione della misura. La Cassazione ha stabilito che il ricorso è fondato sottolineando che la limitazione della libertà di pensiero, e quindi anche di informarsi, deve connotarsi in termini di extrema ratio.
Inoltre evidenzia che un provvedimento del genere può essere legittimo solamente se vi sia una specifica correlazione tra la circolazione della stampa locale all'interno del carcere e il probabile verificarsi di taluna delle circostanze indicate dall'articolo 18- ter dell’ordinamento penitenziario, quelle relative alla limitazione della ricezione della stampa. La Cassazione aggiunge che, trattandosi di provvedimenti che incidono su diritti fondamentali, “deve escludersi, come condivisibilmente dedotto dalla difesa del detenuto, che le limitazioni in questione possano essere basate sulla ricorrenza di una situazione di "mero sospetto", essendo necessario che ricorrano concreti elementi di valutazione idonei a conferire un adeguato coefficiente di oggettività alle ragioni poste alla base del richiesto controllo”.
Secondo la Cassazione il divieto non è stato ben motivato, senza nemmeno indicare quale sia il pericolo concreto. Alla luce delle considerazioni e, in particolare, alle evidenti lacune motivazionali del provvedimento impugnato, la Cassazione ha accolto il ricorso e annullato l’ordinanza con rinvio, per nuovo esame.
Pian piano, a colpi di sentenze, il 41 bis comincia a perdere tutte quelle misure afflittive che esulano dallo scopo originario del regime speciale.