PHOTO
La Commissione parlamentare Infanzia e Adolescenza porterà il problema dei bambini dietro le sbarre all'attenzione del Governo. Lo ha anticipato, tramite una lettera pubblicata al quotidianosanità.it Paolo Siani, il parlamentare del Pd e membro della commissione. Spiega che se anche alcuni bambini sono ospitati presso gli istituti a custodia attenuata, ciò «rappresenta pur sempre una limitazione della libertà per i bambini». E spiega che sono un’esperienza da comprendere ma anche da superare.
«Sarebbe necessario – illustra Siani - un altro istituto previsto dalla stessa legge del 2011, quello della case famiglia protette. Quanto meno nei casi di detenute – sottolinea il parlamentare -, condannate a reati non gravissimi, servirebbero a tutelare non solo un diritto sacrosanto delle donne, quello alla maternità, ma soprattutto a fare in modo che i bambini non si trovino a scontare pene per colpe che non sono loro».
Proprio nella giornata di ieri, i membri della commissione sono andati a visitare l’Icam di Lauro, in provincia di Avellino. Una struttura che attualmente ospita 14 ragazze ( 9 italiane e 5 straniere) con i loro quindici bambini. Il parlamentare Siani ci tiene a sottolineare che «oramai è unanimemente riconosciuto che i primi tre anni di vita dei bambini sono fondamentali per il loro sviluppo futuro e per la loro crescita equilibrata». Il membro della commissione quindi si chiede: «E che inizio di vita stiamo offrendo a questi 53 bambini che vivono in un carcere pur se senza sbarre, con la loro mamma? Potranno mai avere uno sviluppo Neuropsichico normale questi bambini?».
Ma cosa sono le case famiglia e perché non si punta su di loro? Ad oggi, grazie a diversi sforzi dell’amministrazione locale e gli enti disposti a metterci i soldi, esistono solo due case famiglia: una a Roma e l’altra a Milano. Recentemente il Gruppo Crc ( il gruppo di lavoro per l’infanzia) ha presentato il terzo rapporto supplementare – relativo all’anno 2016/ 2017 – alle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, alla cui redazione hanno contribuito 144 operatori delle 96 associazioni del network. Nella sezione dedicata ai figli di genitori detenuti, il Gruppo Crc raccomanda al ministero della Giustizia di destinare parte delle risorse previste per gli Icam agli enti locali a cui è in carico la titolarità delle Case Famiglia Protette.
Come mai lo Stato non finanzia le case famiglia? C’è il decreto dell’ 8 marzo del 2013 che specifica i requisiti: si legge che le strutture residenziali case famiglia protette previste dalla Legge n. 62 del 21 aprile 2011 sono per soggetti che non ravvisano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, o soggetti nei confronti dei quali, nel caso di concessione di misure alternative previste, non sussista grave e specifico pericolo di fuga o di commissione di ulteriori gravi reati.
Constatata l’impossibilità di esecuzione della misura presso l’abitazione privata o altro luogo di dimora debbono rispettare i criteri organizzativi e strutturali previsti dall’articolo 11 della Legge 328/ 2000 e dal Dpcm 21 maggio 2001, n. 308, nonché dalle relative normative regionali in materia tenendo presente le seguenti caratteristiche tipologiche: ospitano non oltre sei nuclei di genitori con relativa prole; i profili degli operatori professionali impiegati e gli spazi interni sono tali da facilitare il conseguimento delle finalità di legge; le stanze per il pernottamento e i servizi igienici dei genitori e dei bambini dovranno tenere conto delle esigenze di riservatezza e differenziazione venutesi a determinare per l’estensione del dettato della legge 62/ 2011 anche a soggetti di sesso maschile; sono in comune i servizi indispensabili per il funzionamento della struttura; sono previsti spazi da destinare al gioco per i bambini, possibilmente anche all’aperto; sono previsti spazi, di dimensioni sufficientemente ampie, per consentire gli incontri personali, quali: i colloqui con gli operatori, i rappresentanti del territorio e del privato sociale, nonché gli incontri e i contatti con i figli e i familiari al fine di favorire il ripristino dei legami affettivi.
Il servizio sociale dell’amministrazione penitenziaria interviene nei confronti dei sottoposti alla misura della detenzione domiciliare secondo quanto disposto dall’art. 47 quinques, 3°, 4° e 5° comma dell’Ordinamento penitenziario. Il decreto conclude: «Il ministro della Giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, può stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture da utilizzare come case famiglia protette». L’ultimo punto è quello chiave: per le case famiglia lo Stato non partecipa e viene tutto delegato ai privati.