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Partiamo dalla decisione con cui la commissione Bilancio del Senato ha escluso l’equo compenso dalla Manovra: ha prevalso il timore di urtare la suscettibilità dei cosiddetti committenti forti?
Porre la questione in termini di irrimediabilità non ha senso. Continuerei a credere in questa battaglia, come il Cnf ha fatto e, secondo me giustamente, continua a fare. C’è stata una battuta d’arresto nella legge di bilancio ma ci sono innanzitutto i tempi per portare in aula alla Camera e approvare entro novembre il ddl ordinario. Se c’è la volontà politica, lo si può fare. Mi pare che la cosa migliore, per l’avvocatura, sia concentrarsi affinché arrivi un’espressa manifestazione di volontà entro la fine della legislatura.
L’equo compenso è un principio da affermare per tutti gli avvocati?
Assolutamente sì, è importante per l’intera avvocatura innanzitutto perché segnalerebbe un’inversione di tendenza. Al di là delle disposizioni specifiche più o meno perfettibili, il punto decisivo è che si tratterebbe di un cambio di direzione rispetto al modo in cui siamo stati trattati in questi anni.
A cosa si riferisce in particolare?
Al fatto che si guarda a noi come a un ostacolo alla libera concorrenza, allo sviluppo. Un’idea che sembra persistere dall’abolizione delle tariffe firmata Bersani fino alla recente introduzione dei soci di capitale negli studi legali.
Come si è arrivati a ribaltare così il ruolo dell’avvocato?
Semplice: sulla base dell’idea che la prestazione legale sia un servizio come un altro. Una commodity, da pagare al prezzo più basso possibile. Non è così. Siamo o non siamo la sola professione che ha rilievo costituzionale? La qualità della prestazione è garanzia di qualità della difesa: per i cittadini come per le imprese.
L’equo compenso serve a riaffermarlo?
Si mette di sicuro un freno a una deriva pericolosa di svalutazione totale della professione forense. E allora è importante che la battaglia per l’equo compenso sia di tutta l’avvocatura.
La svalutazione nasce anche dall’idea che l’avvocato non sia da tutelare come qualsiasi altro lavoratore?
Certamente, ed è una distorsione intrecciata con l’altra, paradossale, secondo cui tutti i clienti dell’avvocatura sarebbero dei consumatori da tutelare, da proteggere rispetto allo strapotere del professionista: non credo sia sempre così.
Dovrebbe essere chiaro per chiunque.
Se ci occupiamo di noi ci occupiamo anche dei diritti di cittadini e imprese. È una battaglia di civiltà. L’espressione suonerà pure forte, ma c’è poco fa fare: un avvocato squalificato è un danno per la società. Se massacriamo gli avvocati non facciamo danno solo a loro ma a tutti. Non è una battaglia facile, quella per evitare che il ruolo dell’avvocato sia disconosciuto.
Non lo è perché troppo spesso siamo rappresentati come un problema: saremmo ‘ troppi’ e alimenteremmo troppe cause. Quasi si arriva a dire che fare a meno degli avvocati risolverebbe i problemi della giustizia. Anche qui si tratta di una distorsione a cui per fortuna fanno da contraltare misure come quelle in materia di sistemi alternativi di risoluzione delle controversie. L’attuale ministro della Giustizia ha mostrato un atteggiamento diverso nei confronti dell’avvocatura, ne ha ascoltato le istituzioni rappresentative, che si sono fatte sentire. Ma sono intervenute spinte in direzione contraria.
Si riferisce alle modifiche al decreto sul processo civile?
Esatto. Da una parte alcune misure hanno riconosciuto l’avvocato come una risorsa a cui affidare l’amministrazione della giustizia anche al di fuori dei tribunali. Dall’altra il legislatore ha contraddetto in parte il principio, per esempio con l’esclusione della negoziazione assistita nelle cause di lavoro, inizialmente prevista nel decreto Orlando. Al Congresso forense di Rimini è stata approvata una mozione unitaria che chiede la reintroduzione di quelle misure.
La riforma del processo civile, che le prevede, difficilmente vedrà la luce.
E per giunta vi si trovano sotto forma di delega. Ecco, visto che anche qui si tratta di un disconoscimento del nostro ruolo, credo che tali norme potrebbero essere inserite proprio nella legge sull’equo compenso. In tal modo il ddl che tutela le prestazioni legali diventerebbe un veicolo per portare in salvo anche altri provvedimenti importanti per la giustizia e l’avvocatura. Misure che altrimenti non vedrebbero la luce. In proposito ci sono almeno altre due questioni che stanno a cuore innanzitutto a noi giuslavoristi.
Quali?
C’è un’altra norma incagliata nella riforma del civile che è l’abolizione del rito Fornero per i licenziamenti: ha prodotto problemi e inefficienze, magistrati e avvocati sono d’accordo nel cancellarlo, e questo è un altro provvedimento che potrebbe essere accorpato al ddl sull’equo compenso. Ricordo comee nel caso della negoziazione assistita nelle controversie fra aziende e lavoratori sia davvero paradossale ce le transazioni raggiunte tra noi avvocati debbano poi essere ratificate in sede sindacale o amministrativa. Possiamo definire i divorzi ma non le cause di lavoro: assurdo. C’è poi la disposizione relativa alle polizze obbligatorie sugli infortuni: i nostri dipendenti hanno già la copertura Inail, lo stesso ministro Orlando si è detto favorevole a una revisione: perché non sbrigarsi?
Lei chiede che il cambio di passo del legislatore sia visibile.
Ma credo che un cambio di passo dovrebbe manifestarsi anche da parte di noi avvocati. Se abbiamo goduto spesso, in questi anni, di cattiva stampa, è giusto impegnarsi per fare la nostra parte e accrescere ancora la qualità dei servizi legali. Mi riferisco alla formazione ma anche alla necessità di attuare la disciplina delle specializzazioni. Su questo il Cnf ha sempre avuto un ruolo propulsivo, è stato al fianco delle diverse associazioni. Ora ci troviamo con alcuni Ordini che hanno fatto appello incidentale, davanti al Consiglio di Stato, per annullare l’intero regolamento ministeriale anziché consentire finalmente di attuarlo. Abbiamo già un plotone di esecuzione pronto a giustiziarci come presunto avamposto della conservazione, non forniamo munizioni e puntiamo ad accrescere sempre più la qualità del nostro lavoro.