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Il procurator di Reggio Calabria GIovanni Bombardieri
Il clima di caccia alle streghe non coinvolge solo gli avvocati ma anche i giudici: se è diventato sempre più complesso difendere persone accusate di reati gravi, come stiamo assistendo in questi giorni con i fatti di Colleferro, anche emettere sentenze sgradite al popolo può fare dei giudici facili bersagli di aggressioni. Ne parliamo con il dottor Giovanni Bombardieri, procuratore capo di Reggio Calabria che ci dice: «Avvocatura e magistratura devono essere unite in questa battaglia culturale». Ancora una volta gli avvocati vengono attaccati nell'esercizio della loro funzione. Qual è il suo giudizio in merito? La professione del difensore è nobile ed indispensabile in un sistema democratico. Tutti hanno diritto ad essere difesi nel miglior modo possibile. L’avvocato non può essere attaccato perché fa il suo lavoro. Qualsiasi indagato o imputato ha diritto ad essere assistito in maniera adeguata. Anche se i fatti che vengono contestati sono gravissimi, il difensore, nel momento in cui svolge la sua professione in maniera leale e deontologicamente corretta, fa solo il proprio lavoro. Per molte persone, chi compie reati efferati, come stragi o uccisioni di bambini, non meriterebbe una difesa. Pure in questi casi la funzione del difensore è essenziale, come è necessaria, in un sistema giudiziario di un Paese democratico, per il mafioso, per gli ’ndranghetisti, addirittura per chi è giunto a commettere le più gravi atrocità quali sciogliere un povero bambino nell’acido o per chi ha compiuto delle stragi. Non si può pensare che uno possa avere o non avere il difensore a seconda del tipo di reato che compie. Mi rendo conto che a parte dell'opinione pubblica possa risultare difficile pensare che dei soggetti accusati di reati molto gravi, come massacrare di botte un povero ragazzo innocente, godano del diritto di difesa. In realtà è fondamentale che anche quegli indagati vengano difesi: è ciò che avviene nelle aule di giustizia, dove in un contraddittorio leale tra le parti si forma il giudizio. Bisogna capire che non possiamo essere colpevolisti, innocentisti o garantisti a correnti alterne. Lei ha parlato di garantismo. C'è qualcuno che dinanzi a questi fatti gravi sostiene: “va bene essere garantisti, ma...”. Non esiste un garantismo con il “ma” davanti? Certo che non può esistere. Poi occorre capire che garantismo non ha una accezione positiva o negativa: significa garantire a tutti i propri diritti fino ad un accertamento di responsabilità in via definitiva. Non può essere considerato a seconda della gravità del fatto contestato, perché il garantismo non riguarda il fatto ma riguarda le regole da seguire per l'accertamento di quel fatto. Ciò deve indurre tutti ad essere cauti nell'assumere posizioni per reati per i quali ancora non c'è stato l'accertamento delle responsabilità individuali. In questo percorso di accertamento, guai se non ci fossero i difensori, che sono parte necessaria di un sistema giudiziario civile. Secondo lei quali sono le cause di questi giudizi sommari, di questo populismo giudiziario? Certi accadimenti così gravi suscitano, giustamente, sdegno e rabbia nelle persone. Ma non bisogna reagire di “pancia”. Bisogna stare attenti a non farsi trascinare dalle emozioni. Esiste un sistema giudiziario che ha lo scopo di garantire i diritti di tutte le parti in gioco: l'accusa, la difesa, gli imputati, le vittime di reato. La stessa sorte degli avvocati tocca anche i magistrati che vengono aggrediti verbalmente quando emettono sentenze o prendono provvedimenti non graditi al tribunale del popolo. Sicuramente: è l'intero sistema giustizia ad essere coinvolto. Il giudice, come il difensore, fa il proprio lavoro secondo coscienza e secondo la legge. È evidente che laddove ci siano delle sentenze che non rispettano certe aspettative, perché ritenute troppo poco punitive, lo sdegno popolare si rivolge ai giudici. Lo stesso vale anche quando ci sono condanne severe per fatti ritenuti da alcuni non così gravi. Ribadisco che queste vicende si devono affrontare solo nelle sedi opportune, ossia le aule dei tribunali. A questo punto avvocatura e magistratura devono essere unite per portare avanti una battaglia culturale, che miri al rispetto delle regole di uno Stato di Diritto. Certamente, è una battaglia di tipo culturale che non può vedere avvocati e magistrati disuniti o in contrasto tra loro. Vanno affermati il diritto di chiunque ad essere adeguatamente difeso ed il diritto dello Stato ad affermare la propria potestà attraverso l'esercizio dell'azione penale.