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sciopero della fame
«Invito ufficialmente Marco Travaglio a venire alla prossima visita del 9 marzo che faremo al carcere di Taranto, l’istituto penitenziario più sovraffollato d’Italia». Così Rita Bernardini del Partito Radicale si rivolge al direttore de Il Fatto dopo il suo editoriale, scaturito da una analisi di due ricercatori pubblicata tre anni fa su Persona e Danno e riportata ieri sul giornale. Si denuncia l’inesistenza del sovraffollamento, visto che la capacità ricettiva – a differenza della capienza minima di 3 metri quadri di spazio vitale della Cedu - si baserebbe secondo il nostro parametro che prevede 9 metri quadri per ogni cella singola, cui ne vanno aggiunti 5 per ciascun detenuto in quelle multiple. Va precisato che dal calcolo dello spazio vitale vanno esclusi il letto e gli arredi fissi. «Ma non è vero – spiega Rita Bernardini -, non si può dire che abbiamo questo parametro quando non lo si rispetta e soprattutto il più delle volte si è al limite dei tre metri quadri a persona, la soglia minima del diritto». L’esponente del Partito Radicale fa l’esempio dell’ultima visita che hanno fatto al carcere di Terni. «In tutta l’alta sicurezza non esiste il parametro nove metri più 4 ( per ogni nuovo detenuto in cella ndr.), perché le celle sono di nove metri quadrati e ci stanno due detenuti. Quindi, senza considerare gli arredi che occupano lo spazio vitale, arriviamo alla soglia minima, considerata di “decenza” anche dal capo del Dap Basentini».
Rita Bernardini ricorda anche di aver scritto al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per chiedergli un incontro chiarificatore sull'effettiva urgenza del sovraffollamento penitenziario e l'aggiornamento delle schede riguardanti di ogni singolo istituto penitenziario in nome della trasparenza. Ad oggi ancora nessuna risposta.
Travaglio, in effetti, fa un po’ di confusione quando scrive che «L'Italia viene condannata a pesantissimi risarcimenti in base ai propri parametri». No, il detenuto viene risarcito in base ai parametri della Cedu, non i nostri. Quindi, una volta appurato questo dato, sicuramente anche il direttore concorderà che il sovraffollamento è un problema enorme visto che lo spazio disponibile di tre metri quadrati per ogni persona – e non i nove metri quadrati sulla carta - è la soglia minima al di sotto della quale scatta la violazione del diritto umano.
Per capire meglio, bisogna fare un esempio concreto. Prendiamo la sentenza della Cassazione n. 52819/ 16 ( 52819) che dà piena applicazione alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo a partire dal caso Torregiani e lo fa chiarendo il corretto calcolo dello spazio da destinare ai detenuti per non incorrere in una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. Tutto è scaturito da una ordinanza del 2 ottobre 2014 del Tribunale di sorveglianza di Perugia che aveva respinto il reclamo ( azione inibitoria e risarcitoria) di un detenuto che contestava le condizioni carcerarie provocate dal sovraffollamento. Per il Tribunale, nel calcolo dello spazio destinato al singolo occupante andava incluso il letto che non limita lo spazio vitale, mentre andavano esclusi dal computo della superficie unicamente altre strutture fisse come manufatti e mensole e lo spazio dedicato al bagno. Il criterio di misurazione deciso dal Tribunale aveva portato a escludere un trattamento disumano e degradante perché lo spazio minimo era tra i 3 e i 4 metri quadrati. In modo singolare, tra l’altro, il Tribunale effettuava una compensazione tra acqua calda ( assente) e la doccia esterna con acqua calda. Una posizione bocciata dalla Cassazione che ha escluso ogni possibilità di compensazione e ha chiarito che nello spazio minimo vanno considerate tutte le strutture fisse incluso il letto che, quindi, sottrae lo spazio a disposizione del detenuto.
Per le modalità di calcolo dello spazio minimo vitale concesso a un individuo posto in una cella collettiva, la Cassazione ha richiamato la prassi di Strasburgo. La posizione della Corte europea è chiara: al di sotto dei 3 metri quadrati si verifica in modo automatico una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, senza possibilità di «compensazioni derivanti dalla bontà della residua offerta di servizi o di spazi esterni alla cella».
Tra l’altro, osserva la Suprema Corte, il letto deve essere considerato come «un ingombro idoneo a restringere» lo spazio vitale minimo all’interno della cella. Ed invero, – scrive la Cassazione – considerare «superficie utile quella occupata dal letto per finalità di riposo o di attività sedentaria che non soddisfano la primaria esigenza di movimento» non è conforme ai criteri delineati dalla Corte europea, con la conseguenza che non può rientrare nella nozione di spazio minimo individuale. Così, andavano detratti dalla superficie complessiva non solo il bagno e gli arredi ma anche lo spazio occupato dal letto. Pertanto, tenendo conto dell’interpretazione della Corte europea in base alla quale il giudice interno «ha l’obbligo di ritenere un dato integrativo del precetto», sussiste una «forte presunzione di trattamento inumano e degradante, superabile solo attraverso l’esame congiunto e analitico delle complessive condizioni detentive e della durata di tale restrizione dello spazio minimo». Di qui l’annullamento con rinvio per un nuovo calcolo dello spazio minimo.
Di sentenze del genere, ce ne sono tante. Quindi è vero come dice Travaglio che siamo oggetti di pesanti condanne, ma in base alla violazione dei parametri minimi ( la soglia di decenza) della corte europea e non i nostri come lui erroneamente pensa. Il problema è che – come ha detto recentemente il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma - basterebbe far applicare il parametro della Commissione Europea per la prevenzione della tortura: 6 metri quadrati, più 4 per ogni nuovo detenuto in una cella. Purtroppo non viene rispettato nemmeno quello e ci si affida proprio alla soglia minima che il più delle volte si conteggia assieme agli arredi che occupano lo spazio. Secondo la ricerca pubblicata sul Fatto, emerge che comunque i posti regolamentari si basano proprio sui nove metri quadrati e per questo risulterebbe eccessivo il sovraffollamento. Il problema è che il dato ufficiale non corrisponde affatto alla realtà, perché non si prendono in considerazione le circa 4000 celle inagibili. Quindi il numero delle celle ( comprese quelle inagibili) viene usato per suddividere in astratto i detenuti, ma nella realtà le cose sono ben diverse.
Così come non è vero che in carcere ci sarebbero non solo pochi reclusi, ma addirittura che vi rimarrebbero per poco tempo. Basterebbero ascoltare le parole di Mauro Palma, una voce istituzionale ed equilibrata, proprio durante l’ultimo congresso del Partito Radicale. «Se analizziamo l’aumento dei numeri, non sono aumentati gli ingressi in carcere, ma sono drasticamente diminuite le uscite: cioè si entra in un mondo da cui non si esce». Il Garante fa anche una seconda osservazione oggettiva: «Attualmente ci sono circa 1800 persone in carcere che stanno scontando una pena inferiore ad un anno». Quindi altro che pochi giorni in carcere, altro che, come scrive Travaglio «i ladri stanno comodamente ai servizi sociali o ai domiciliari ( ma davvero è così comodo stare 24 ore su 24 dentro casa? ndr)». Ci sono detenuti che potrebbero scontare misure alternative, ma rimangono dentro.