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Una di quelle giornate in cui il “punto di tenuta” viene messo severamente alla prova. Sul piano politico, diplomatico, persino dell’ordine pubblico. Così è per la visita in Italia del presidente turco Erdogan, culminata negli incontri con Papa Francesco, il presiden-È te della Repubblica Sergio Mattarella e il premier Paolo Gentiloni. Un confronto ai più alti livelli sul quale fa sentire tutto il suo peso il tema dei diritti umani. E a segnalare il livello di tensione raggiunto, anche rispetto ai negoziati tra Ankara e Ue, interviene una lettera al Quirinale, firmata congiuntamente dai vertici di magistratura, avvocatura e giornalismo italiani. Un passo inedito e dal grande significato, che richiama «le continue violazioni dei diritti e le ripetute epurazioni» di cui si è reso artefice il governo turco.
Una linea che, si legge nella lettera a Mattarella sottoscritta dai presidenti dell’Anm Eugenio Albamonte, del Cnf Andrea Mascherin e della Fnsi Giuseppe Giulietti, desta «grande preoccupazione». Si ricorda che «magistrati, giornalisti, avvocati, insegnanti, funzionari pubblici, medici, militari sono stati licenziati, in molte occasioni arrestati, e ancora si trovano in stato di detenzione in assenza di contestazioni puntuali delle condotte a loro attribuite e in uno stato di sospensione dei diritti difensivi».
Il documento congiunto ha un grande rilievo. Pari alla delicatezza delle questioni affrontate nei tre vertici, i due tenuti in mattinata col Pontefice in Vaticano e con il Capo dello Stato al Quirinale, e poi quello del pomeriggio a Palazzo Chigi. È un richiamo al nodo sul quale si avvitano le aspirazioni di Ankara a una «piena adesione» all’Europa dei ventotto: ossia la negazione dei diritti che Bruxelles poche ore fa ha annunciato di voler rammentare ancora una volta a Erdogan in un nuovo rapporto.
«È essenziale che il richiamo venga da avvocati, magistrati e giornalisti», fa notare Mascherin, «perché si tratta delle tre categorie più colpite dalla repressione, come avviene in ogni circostanza in cui i diritti sono violati. E perché il fatto che vengano arrestati i magistrati indisponibili ad allinearsi al regime e gli avvocati che osano difendere gli avversari politici del governo dimostra come ad oggi non sia riconosciuto in Turchia il diritto a una difesa libera, a un processo che non sia una farsa, e come dunque venga a mancare uno dei principali pilastri dello Stato di diritto», ricorda il presidente del Consiglio nazionale forense.
Avvocati, magistrati e giornalisti italiani si mobilitano insieme dunque a sostegno dei colleghi perseguitati da Ankara. Nella lettera al Colle, auspicano che «nel corso degli incontri istituzionali, e nelle forme da Lei ritenute più idonee, venga posta attenzione alla questione dei diritti umani violati e si solleciti la liberazione delle persone ingiustamente detenute». Un documento che Sergio Mattarella ha letto con attenzione e di cui «ha preso atto». Anche allo sguardo preoccupato del presidente della Repubblica, la posizione espressa da Albamonte, Mascherin e Giulietti è parsa coerente con la linea tenuta dal governo italiano. Roma resta ferma nel proprio atteggiamento costruttivo ma indisponibile a sorvolare sulle violazioni.
Al Quirinale, Recep Tayyip Erdogan ha avuto con il Capo dello Stato italiano un colloquio durato circa 50 minuti. Mattarella gli ha puntualmente rappresentato, secondo quanto si è appreso, la questione dei diritti. Lo ha fatto alla presenza del ministro degli Esteri Alfano, per poi intrattenersi a colazione con il presidente turco. Un confronto che l’agenzia di Ankara Anadolou riassume in modo asciutto, con il solo generico riferimento alle «relazioni tra l’Italia e la Turchia» come oggetto della discussione. Ma i temi affrontati sono gli stessi riecheggiati per l’intera giornata italiana del presidente di Ankara: dal confronto con Gentiloni e gli altri rappresentanti del suo esecutivo ( Roberta Pinotti, Carlo Calenda e lo stesso Alfano), durato oltre un’ora, a quegli stessi 50 minuti in cui Erdogan è rimasto solo con il Papa, primo leader di Ankara a incontrare il capo della Chiesa cattolica.
Era inimmaginabile, per l’esecutivo turco, che dal’Italia arrivassero esortazioni diverse da quelle di ieri. Impossibile anche per la situazione richiamata, nella lettera congiunta a Mattarella, da Associazione nazionale magistrati, Cnf e Federazione nazionale della Stampa. Una stasi negativa che «viola i principi fondamentali dello Stato di diritto ed è stata ripetutamente segnalata da tutta la Comunità internazionale», ricorda il documento unitario. Ecco perché i vertici di magistratura, avvocatura e giornalismo hanno ritenuto «opportuno», come si legge nel messaggio al Colle, «evidenziare nuovamente questa emergenza in occasione della visita» di Erdogan.
Che non è stato un soffio lieve neppure per le tensioni provocate sul piano dell’ordine pubblico. Proprio il primo dei tre incontri di ieri, quello in Vaticano, è stato accompagnato da momenti complicati, seguiti al sit– in che la Rete Kurdistan Italia ha organizzato a Castel Sant’Angelo, a poche centinaia di metri da San Pietro. In particolare quando alcuni esponenti dei centri sociali hanno cercato di forzare l’imponente blocco delle forze dell’ordine ( schierati in tutto oltre 350 uomini) nel tentativo di dirigersi verso la Basilica. Tentativo respinto dalla polizia, che ha fermato due persone. «Non è un caso che operatori del diritto e stampa si trovino uniti in questa denuncia», spiega Mascherin. «Nelle repressioni gli avvocati sono colpiti giacché danno voce al cittadino nei confronti di chiunque, così come i giornalisti denunciano le prevaricazioni di chiunque, nei limiti del diritto: ecco perché un regime che limita la libertà sopprime innanzitutto le nostre voci».