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Claudio Foti
«Fuori dal mio ristorante, per voi la cucina è chiusa. Non lo metti più il cappello da lupo per rubare i bambini?». A pronunciare questa frase un ristoratore di Reggio Emilia, che mercoledì sera ha tentato di cacciare dal proprio locale Claudio Foti, psicologo torinese imputato nel processo “Angeli e demoni” sui presunti affidi illeciti, e Giuseppe Rossodivita, difensore di Foti assieme al collega Andrea Coffari e consigliere generale del Partito Radicale. Una vera e propria aggressione verbale, condita con le fake news che hanno circondato il caso e acclamata sui social dopo che la notizia si è diffusa. Foti e Rossodivita si trovavano a Reggio Emilia per la discussione finale del troncone abbreviato che lo vede imputato con le accuse di frode processuale, abuso d’ufficio e lesioni (per le «modalità suggestive» con cui avrebbe effettuato la psicoterapia su una ragazzina, «ingenerando in lei la convinzione di essere stata abusata dal padre e dal socio» e causandole «depressione»); processo che si concluderà l’11 novembre. Ma ancor prima della sentenza e ad oltre due anni dalla martellante campagna mediatica fatta di approssimazioni e titoli scandalistici sui presunti «ladri di bambini», per Foti la condanna sociale è già arrivata con la “mostrificazione” della sua figura, messa al centro di un sistema rispetto al quale avrebbe, invece, solo un ruolo marginale.
L'invito a lasciare il locale
«Prima dell'udienza - racconta al Dubbio Rossodivita - siamo entrati in un ristorante, ci siamo seduti e abbiamo anche ordinato. Premetto che la sala era piena. Ad un certo punto il gestore del ristorante si è seduto vicino a noi, al tavolo accanto, insieme a due persone e ha iniziato a parlare con un tono di voce molto alto. Io e il dottor Foti inizialmente non ci abbiamo fatto caso». Ma le frasi erano chiare: «Che schifo, adesso chiudo il ristorante, non li faccio mangiare, chiudo la cucina», hanno sentito chiaramente i due. «Francamente pensavo stesse litigando con qualcuno del ristorante - continua il legale -. Io davo loro le spalle, ma ad un certo punto ho visto Foti con lo sguardo fisso su quel tavolo e così mi sono girato per capire. E ho visto che questo signore, in realtà, stava parlando proprio con Foti. Sono intervenuto, chiedendo cosa stesse dicendo, e il gestore si è alzato, ordinando alle cameriere, sempre in modo plateale, di sparecchiare il nostro tavolo, affermando che per noi la cucina era chiusa, che non ci avrebbe mai dato da mangiare ed eravamo pregati di uscire dal ristorante». La scena, però, non si sarebbe conclusa così: dopo aver fatto portare via il coperto, l’uomo avrebbe iniziato ad inveire nei confronti dello psicoterapeuta sostenendo che la sua colpa fosse, tra le tante, quella di travestirsi da lupo per rapire i bambini. «Ho cercato di parlarci - spiega Rossodivita - di spiegargli che stava sbagliando, che era solo vittima della disinformazione e che era tutta una manipolazione. Gli ho fatto notare che ci sono più di mille errori giudiziari ogni anno e gli ho chiesto se conoscesse Enzo Tortora, ma il suo sguardo mi è sembrato perplesso. A quel punto ho chiamato i carabinieri». Foti, dal canto suo, gli si sarebbe avvicinato tentando di parlargli, ma per tutta risposta il ristoratore si sarebbe coperto le orecchie sostenendo di non volerlo ascoltare. «Ad un certo punto - continua il legale - gli ho fatto capire che stava facendo una sciocchezza. Così ha chiesto alle cameriere di riapparecchiare il tavolo per farci mangiare. Siamo rimasti in attesa dei carabinieri, ma la situazione era tale per cui non ce la sentivamo più di mangiare lì». I due, ora, presenteranno querela per diffamazione e probabilmente anche per violenza privata, dal momento che l’uomo ha tentato di far lasciare loro il ristorante. «In un locale pubblico, per quanto privato, non si può fare selezione, a meno che non ci siano comportamenti tali da motivare una scelta simile - conclude Rossodivita -. Voglio ricordare che Foti con la maschera da lupo non c’entra niente e che quella maschera non è mai esistita. Lo si può evincere facilmente dagli atti di indagine. Ma ora attendiamo con fiducia la sentenza».
«Una riedizione dell'orco delle fiabe»
Giorno in cui, spiega Foti, «mi gioco la vita». Lo psicoterapeuta non fa mistero delle difficoltà sofferte dopo l’inchiesta e la gogna mediatica subita. «Più del 95% della mia attività professionale è andata in fumo, il centro studi è distrutto e ho subito pesanti attacchi personali - racconta -. Martedì, lì per lì, sono ammutolito. Ma le difficoltà o ti annichiliscono o ti fanno sviluppare capacità di adattamento. Quindi continuo a dire che ho fiducia nella giustizia. In questo momento sento, so di essere totalmente innocente e di aver agito per i miei valori». Nel commentare la vicenda, Foti fa un parallelismo con “La leggenda d’Orléans”, di Edgar Morin, che aveva studiato le voci diffuse in tante città francesi secondo cui nei negozi degli ebrei sparivano le adolescenti. E a quarant’anni di distanza, spiega, lo schema non cambia. «La cosa interessante, dal punto di vista culturale, è la rappresentazione di me come il mostro che si travestiva da lupo per terrorizzare i bambini, che resiste a distanza di quasi due anni e mezzo. Ma io non facevo terapia ai bambini, bensì agli adolescenti, ben capaci di reagire ad un travestimento da lupo. Al centro studi non ci sono mai state maschere, c’erano delle marionette con cui si rappresentano delle scene, con cui dunque si possono fare dei giochi simbolici. Ma nulla con cui travestirsi». Inoltre, ribadisce, la sua posizione giudiziaria non c’entra affatto con gli affidi: «Questo contenuto risponde evidentemente a bisogni di semplificazione. Il mostro, il cattivo, resiste a qualsiasi tipo di spiegazione - sottolinea -. Il processo ha già dimostrato che io non c’entro con gli affidi, ma tutto questo fa parte di un piano di informazioni che non arriva, non intacca e quel contenuto lì resiste. Ci sono degli elementi di leggenda, di deformazione che hanno un successo mediatico, ma anche psicologico, perché rimangono dentro la mente. In questo caso è quello che mi dipinge come il cattivo che, sadicamente, terrorizza i bambini. È una riedizione dell’orco delle fiabe. Ho visto che tanti sui social difendono il ristoratore, ma è ovvio: se ragioni con quegli schemi, identificarsi con il buon ristoratore che scaccia via l’orco è facile».