PHOTO
Braccialetti per i sex offender? Non bastano per i domiciliari
«I braccialetti elettronici potrebbero essere di grande aiuto. Purtroppo la legge ha previsto che si possano utilizzare solo nei confronti delle persone agli arresti domiciliari e non per quelle a cui è stato disposto il divieto di avvicinamento». A dirlo in queste ore sono tutti coloro, magistrati e avvocati, che si occupano quotidianamente di violenze domestiche e di genere.
La morte di Vanessa Zappalà, la 26enne siciliana uccisa a colpi di arma da fuoco dall'ex fidanzato Antonio Sciuto, poi suicidatosi, perché non aveva accettato la fine della loro relazione, ha riacceso il dibattito su come contrastare efficacemente questi reati. Vanessa aveva denunciato l'ex fidanzato e la Procura di Catania aveva chiesto e ottenuto dal gip che fosse posto agli arresti domiciliari. Successivamente, però, Sciuto era stato rimesso in libertà e sottoposto al divieto di avvicinamento in quanto il giudice, avendo evidenziato un "riappacificamento" tra i due, aveva ritenuto eccessiva ogni altro tipo di misura custodiale.
Ma se fosse stato possibile utilizzare il braccialetto elettronico, la morte di Vanessa si sarebbe potuta evitare? Il discorso è complesso. Anche se venisse modificata la norma, infatti, ci sarebbe poi il problema della disponibilità dei braccialetti. «Il numero dei braccialetti elettronici è attualmente insoddisfacente per far fronte alle normali esigenze», proseguono gli addetti ai lavori.
E a ciò vanno sommate le difficoltà di carattere organizzativo da parte delle forze dell’ordine. «Con gli attuali organici come si potrebbero gestire le migliaia di segnalazioni di persone che continuano ad essere libere di spostarsi sul territorio nazionale?». Per un efficace controllo la persona offesa dovrebbe di fatto essere "bloccata" in casa. Diversamente non sarebbe possibile verificare in tempo reale se il soggetto denunciato sia in avvicinamento o meno. La morte violenta di Vanessa ha, dunque, messo in evidenza le tantissime criticità della normativa, recente modificata con l'introduzione del codice rosso.
La legge, varata nel 2019, oltre a un inasprimento delle pene, ha introdotto significative cambiamenti che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbero dovuto consentire un migliore contrasto a queste condotte. In particolare, la polizia giudiziaria, acquisita la denuncia, deve darne immediatamente notizia al pubblico ministero, anche in forma orale. Alla comunicazione orale segue senza ritardo quella scritta.
Il pubblico ministero, poi, entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, acquisisce informazioni dalla persona offesa o da chi ha sporto denuncia. Tale termine potrà essere prorogato solo in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa. La polizia giudiziaria procede al compimento degli atti di indagine delegati dal pm, mettendogli a disposizione la documentazione delle attività svolte. Per coloro che sono stati condannati e che vogliono ottenere l'estinzione della pena c'è l'obbligo di seguire percorsi ad hoc in centri specializzati per abbattere il rischio di recidiva.
A due anni dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni, il principale punto dolente è la professionalità dei giudici. Secondo Fabio Roia, presidente di sezione al Tribunale di Milano e consulente della Commissione parlamentare sui femminicidi, insignito della massima onorificenze di Palazzo Marino, l'Ambrogino d'oro, per il suo impegno contro la violenza, «solo il 20 percento» dei giudici sarebbe attualmente preparato per affrontare questi procedimenti. «Serve empatia, bisogna essere propensi ad occuparsi di tali reati», puntualizza Roia.
E questo nonostante da tempo il Consiglio superiore della magistratura e la Scuola superiore organizzino, ognuno per la parte di competenza, momenti formativi per le toghe.
Con i tempi ristretti che sono stati previsti è poi difficile che si riesca a celebrare il processo prima della scadenza dei termini della custodia cautelare. Senza contare che a dibattimento, sempre a causa dei tempi ristretti, arrivano fascicoli spesso incompleti, con la conseguenza di dover effettuare una completa istruttoria. E per concludere, infine, non va dimenticato l'effetto "emulazione". Su persone mentalmente instabili può essere un volano per compiere simili atti criminali.