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Antonella Trentini presiede l’Unione nazionale avvocati Enti pubblici, Unaep nell’acronimo. È stata lei a volere gli “Stati generali” dell’associazione, celebrati sabato scorso a Palermo con una intera giornata di convegni. Nel suo intervento in apertura dei lavori, Trentini ha ricordato numeri che possono essere letti con vari significati: «Secondo i dati del Cnf, dal 1999 ad oggi si è passati da 3.772 avvocati pubblici a 4.552 unità, mentre i legali del libero foro sono passati da 109.818 a 245.631: in totale, includendo anche l’Avvocatura di Stato, in Italia ci sono meno di 5mila avvocati dedicati alla difesa erariale, i quali fanno risparmiare milioni di euro alla pubblica amministrazione e collezionano fino al 97% di esiti favorevoli. Numeri», ha osservato la presidente dell’Unaep, «sui quali occorre aprire una riflessione».
A un primo sguardo ci si potrebbe limitare a cogliere la specificità dell’avvocatura pubblica e a ritenere fondata la richiesta essenziale emersa dall’incontro siciliano, ossia «un riconoscimento a livello normativo e un contratto nazionale all’altezza dei delicati compiti che siamo chiamati a svolgere». Richiesta che nessuno dei magistrati, amministratori, giuristi intervenuti ha ritenuto di mettere in questione. Non lo ha fatto neppure un interlocutore “governativo” come Giuseppe Corasaniti, capo dipartimento Affari di giustizia del ministero di via Arenula. Ma quei numeri citati in apertura da Trentini potrebbero anche trarre in inganno: indurre a considerare appunto il caso degli avvocati pubblici, e in generale degli avvocati che difendono la Pa, come un settore a parte, non rappresentativo delle condizioni dell’intera professione. E invece questo particolare ambito concentra in sé tutte le principali questioni che riguardano il mondo forense. Se n’è avuta dimostrazione nel corso della tavola rotonda pomeridiana, svolta attorno a “La scelta dei professionisti interni ed esterni da parte della Pa”.
È stata l’occasione non solo per rilanciare la necessità di uno «statuto della pubblica avvocatura», snodo che ha ispirato una proposta di legge già messa a punto dall’Unaep, ma anche per far emergere quel combinato disposto di norme e prassi che mina, parole di Corasaniti, «l’indipendenza degli operatori del diritto: i princìpi devono valere per tutti, considerato che dignità ed equo compenso sono due facce della stessa medaglia». Norme e prassi come quelle che discenderebbero dalle linee guida sugli incarichi legali nella Pa diffuse alla fine dell’anno scorso dall’Anac, e che mettono in discussione il rapporto di “fidiuciarietà” fra l’ente pubblico e l’avvocato. O come il bando del Mef, ricordato dal consigliere Cnf Francesco Greco, che nega addirittura la verità della legge, ossia la possibilità di applicare l’equo compenso anche agli incarichi “pubblici”. Il tutto con il rischio che i difensori si riducano a «merce», come denunciato dal consigliere dell’Ordine di Palermo Giovanni Immordino. Ed è per questo che uno “statuto dell’avvocatura pubblica” potrebbe diventare l’occasione per affermare autonomia, indipendenza e dignità dell’intera professione e prepararne così il riconoscimento costituzionale sul quale si è impegnato il guardasigilli Bonafede.