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Gian Domenico Caiazza, canbdidato alla presidenza dell'Ucpi (foto Giorgio Varano)
Luca Poniz è un apprezzatissimo presidente dell’Anm. Non a caso la platea appassionata, come sempre, del congresso Ucpi di Taormina lo interrompe più volte a suon di applausi. Eppure Poniz rende ben chiara l’urgenza della sfida lanciata da Gian Domenico Caiazza, che dell’Unione Camere penali è presidente, la sfida di «presentare la verità dei fatti, nuda e cruda, sulle cause della lunghezza dei processi e sulla prescrizione». Un’opera necessaria proprio per rispondere a quello scarto tra norme e principi che trapela persino nel discorso di Poniz: il vertice dell’Associazione magistrati impernia gran parte dell’intervento sull’idea che sì, la norma sulla prescrizione è «diversa da come noi l’avevamo suggerita, nella nostra visione avrebbe dovuto riguardare solo le sentenze di condanna», eppure, aggiunge, «non possiamo escludere dal confronto tra magistrati e avvocati la verifica sul rischio che la prescrizione diventi l’obiettivo di alcuni imputati, protesi con logiche dilatorie verso la scadenza del termine per impedire l’accertamento della loro colpevolezza». Ancora: «Se pure ci fosse un solo caso in cui la prescrizione diventa strumentale, sarebbe una sconfitta per la giustizia».Manca, a una simile riflessione, un ancoraggio decisivo: sul rischio paventato dal presidente Anm dovrebbe fare nettamente premio quello di vedere un innocente costretto per decenni nella condizione di imputato. «Imputato per sempre», per usare proprio il titolo del convegno di Taormina. Anteporre la necessità che l’innocente non resti processato a vita al rischio di un colpevole protetto dalla prescrizione è l’architrave del diritto penale liberale.L’antidoto alla confusione dei principi, secondo quanto propone Caiazza nella sua relazione, deve essere duplice. In termini di prospettiva bisogna riaffermare la «presunzione di non colpevolezza», che si coniuga con la necessità di una «colpevolezza pronunziata al di là di ogni ragionevole dubbio». Sono due dei «35 canoni del Manifesto definito insieme con gli accademici», ricorda il presidente dell’Ucpi. Il secondo pilastro è nello strumento in grado di trasferire i valori scolpiti nel “Manifesto” dalla «comunità dei giuristi» all’opinione pubblica. E lo strumento è proprio in quella «verità nuda e cruda» con cui, dice Caiazza, «ora si dovrà fare i conti». Ed ecco il senso del nuovo studio sul processo penale condotto dall’Ucpi con l’Eurispes. Ecco perché, spiega il leader dei penalisti, «abbiamo deciso di replicare, a dieci anni di distanza, quell’indagine a doppia firma». Lunedì i dati della ricerca saranno presentati alla stampa, ma già ieri a Taormina gran parte della prima giornata dei lavori (che si concluderanno domani) è stata dedicata alla presentazione anche dettagliata di alcuni aspetti dello studio. Solo per fare un esempio, «il dato relativo alla famigerata ripetizione della istruttoria dibattimentale in caso di mutazione del giudice, che riguarda, pensate un po’, l’1% del totale dei processi monitorati, all’interno del quale i difensori danno il consenso alla lettura quasi nel 60% dei casi», si segnala nella relazione di Caiazza. Senza citare naturalmente i numeri che dimostrano come la lunghezza dei giudizi non dipenda quasi mai dalle iniziative della difesa, tantomeno dall’uso dilatorio delle impugnazioni sotteso alle parole di Poniz. L’impresa di modificare il mood dell’opinione pubblica è ardua. Ma l’Ucpi non intende sottrarsi. La prossima settimana sarà introdotta dalla conferenza stampa di lunedì e vedrà l’astensione dei penalisti fino a venerdì 25. Il segretario dell’Ucpi Eriberto Rosso definisce la ricchezza delle iniziative assunte anche dalle singole Camere penali come «un cantiere aperto». E il coordinatore dell’Organismo congressuale forense Giovanni Malinconico ricorda che proprio per il giorno 25 «l’adesione allo stop delle udienze è stasa estesa, dall’Ocf, all’intera avvocatura, oltre che ai penalisti. La società italiana ha bisogno di risposte a una crisi che si sostanzia nel giustizialismo», aggiunge. È la convinzione espressa da tutti i relatori, tra i quali i sempre acclamatissimi Armando Veneto e Beniamino Migliucci, predecessori di Caiazza al vertice dell’Unione, con il secondo a presiedere i lavori. Il rischio più grave è evocato dal consigliere Cnf Stefano Savi: quello della «mistificazione», evidente anche «nel modo in cui è stata accolta la sentenza Cedu sull’ergastolo ostativo», e della «tentazione di invertire la logica delle riforme: anziché partire dai principi inviolabili e calibrare su questi ogni intervento sui tempi processuali, ridurre questi ultimi anche a costo di sacrificare i principi». Un pericolo fatale. Dinanzi al quale è necessario, come si propone l’Ucpi, svegliare davvero l’opinione pubblica.