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La soluzione alla crisi della Giustizia passa anche dal riconoscimento del ruolo dell’avvocato in Costituzione. A dirlo è il Consiglio nazionale forense, che in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, analizza il momento di profonda difficoltà attraversato dalla magistratura, in preda ad una crisi senza precedenti. È il momento di stare «dalla parte della Costituzione», di tagliare quel filo che lega le toghe al potere politico e di «di riequilibrare la magistratura», rafforzando, appunto, il ruolo dell’avvocatura nella Carta costituzionale. La richiesta arriva in un momento delicatissimo, che fa tremare dalle fondamenta uno dei pilastri della società civile. Un terremoto che, nei giorni scorsi, ha portato all’espulsione di Luca Palamara dall’Anm, decisione che sembra solo l’inizio di un nuovo, durissimo, capitolo per la magistratura, costretta, ora, a fare i conti con le proprie storture, messe in parte già a nudo dalle cronache serrate delle conversazioni “proibite” di Palamara con molti colleghi ma ancora emerse solo in parte. La bomba, dunque, sembra non essere ancora davvero esplosa. E in un clima di instabilità, che rende la sfiducia dei cittadini nei confronti della Giustizia ancora più palpabile, il Cnf ha deciso di rivolgersi direttamente a chi presiede l’organo di autogoverno delle toghe, colui che, allo stesso tempo, è anche il garante della Costituzione. La lettera, firmata dalla presidente facente funzioni Maria Masi, ha dunque lo scopo di offrire al Capo dello Stato il supporto dell’avvocatura, proprio a tutela di quei principi e quei diritti traditi da una parte della magistratura. L’invito rivolto a Mattarella è quello di incoraggiare l’intero sistema ad una svolta: salvaguardare «autonomia e indipendenza» della magistratura e riconoscere «costituzionalmente» la «funzione dell’avvocatura». Facendo propria «la manifestata preoccupazione per la crisi politica e istituzionale, senza precedenti, nella quale si sta dibattendo la magistratura a seguito dei recenti fatti di cronaca», il Cnf ha evidenziato la vulnerabilità dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, frutto, appunto, della «attrazione fatale con il potere esecutivo e con quello legislativo», nonché la difficoltà della politica «di arginare questo fenomeno», col rischio di «minare le fondamenta del principio della separazione dei poteri, con evidenti danni alla credibilità della Giurisdizione, a scapito della comunità civile ma anche dei magistrati e delle magistrate che, silenziosamente, ogni giorno con abnegazione, compiono il proprio dovere di servitori e servitrici dello Stato e che sono la stragrande maggioranza. Questi sono i giudici che i cittadini meritano - ha sottolineato il Cnf -, questi sono i giudici che l’avvocatura italiana rispetta. Questi sono la pietra d’angolo sulla quale ricostruire un rapporto equilibrato tra Istituzioni». Una considerazione che lo stesso Mattarella, nei giorni scorsi, aveva esternato, sottolineando come l’indagine della Procura di Perugia abbia restituito «l’immagine di una magistratura china su stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi» e chiedendo «di dimostrare, con coraggio, di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale ad avere una giustizia efficiente e credibile». Ma a difendere la giustizia, ha sottolineato il Cnf, c’è anche l’avvocatura, «che così tanti sforzi sta compiendo per resistere ai tentativi di avvilire o peggio svilire il ruolo insostituibile della difesa dei diritti», chiedendo che la stessa «sia riconosciuta costituzionalmente la funzione riequilibratrice delle funzioni e dei poteri». Da qui l’offerta a Mattarella di collaborazione «per la riscrittura delle regole». E proprio per tale motivo, dunque, il tema del riconoscimento del ruolo dell’avvocato in Costituzione proposto dal Cnf e accolto senza distinzione di colore dalla politica è più che mai attuale. Il disegno di legge costituzionale, firmato dal ministro Stefano Patuanelli e inserito dal premier Giuseppe Conte in cima all’Agenda 2023, è attualmente fermo in Commissione Affari costituzionali al Senato. Una proposta supportata in primis dal guardasigilli Alfonso Bonafede, da cui era venuto già a fine 2018 il primo impegno sulla riforma messa a punto dal Cnf, e che ha raccolto anche il placet, tra gli altri, del presidente del Senato Elisabetta Casellati. Il testo prevede l’inserimento, all’articolo 111 della Costituzione, di un passaggio che specifichi che «nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati» e che solo «in casi straordinari, tassativamente previsti dalla legge, è possibile prescindere dal patrocinio dell’avvocato, a condizione che non sia pregiudicata l’effettività della tutela giurisdizionale», specificando che «l’avvocato esercita la propria attività professionale in posizione di libertà e d'indipendenza, nel rispetto delle norme di deontologia forense». Una proposta che, sottolinea il Cnf, mira a «difendere in primis il principio di democrazia e secondariamente, ma non per importanza, i principi di libertà, autonomia nonché indipendenza che sovraintendono all’esercizio della professione forense».