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Esame avvocato, impasse risolta: ma poi tornerà tutto come prima?
Un po’, il problema lo conosco direttamente: nella sessione 2016/2017 ho presieduto la Commissione di esame della mia città, Napoli. 4403 candidati, 15 sottocommissioni, 3 padiglioni, 150 Commissari, tanti uomini della polizia penitenziaria, centinaia di certificati medici, in larga misura improbabili. Per me, chi oggi protesta ha ragione da vendere: quell’esame non garantisce né la preparazione né una selezione equa e basterebbe andare a confrontare le percentuali di promozione che, in una stessa sede, si registrano tra una sottocommissione e l’altra per rendersi conto che troppo spesso le oscillazioni sono talmente ampie da non essere giustificabili. La captazione del consenso raramente genera risultati condivisibili. Per questo, debbo dire che l’idea di una preselezione (preselezione, si badi: non selezione!) mediante quiz che renda gestibili i numeri, senza lasciare margini alla discrezionalità di chi esamina non mi dispiace: di quella discrezionalità a volte si è abusato, in un senso o nell’altro. Ovviamente, i quiz possono permettere di verificare le nozioni teoriche, ma non le competenze professionali, che dovrebbero essere assicurate da una pratica troppo spesso ridotta a manovalanza; però una preselezione che garantisca equità nell’accesso al successivo esame di quelle competenze professionali può essere utile, in primo luogo ai nostri giovani: una valutazione seria serve a fare largo ai migliori ed a garantire il funzionamento dell’ascensore sociale, perché se vengono fatti tutti cavalieri poi troveranno lavoro soltanto quelli che sono figli d’arte o hanno relazioni in grado di garantirglielo. Il vero problema, infatti, non è l’esame, ma il lavoro. E per questo, non ha alcun senso continuare ad allargare a dismisura le maglie di accesso agli albi in assenza di reali sbocchi al mercato, o protestare perché questo avvenga: significa condannare i meno privilegiati tra i nostri giovani a finire rinchiusi in un recinto di speranze destinate alla frustrazione, con tutto quello che ne deriva. Non me ne vogliano, i più giovani Colleghi: anche io, prima di fare l’esame, volevo soltanto essere promosso ed è giusto che sia così. Ma oggi, che ho sperimentato sulla mia pelle le difficoltà di inserimento e, soprattutto, le ingiustizie che crea un’offerta ipertrofica, mi rendo conto che se si vogliono garantire delle eque opportunità di accesso al mondo del lavoro a tutti ci vuole in primo luogo serietà: la selezione verrà fatta comunque, meglio che sia basata sul merito che sulle relazioni. Mi piacerebbe che il superamento dell’esame venisse considerato da solo sufficiente per permettere ai migliori, giovani e meno giovani, di accedere ai primi incarichi, magari anche giudiziari, senza dover fare affidamento sulla benevolenza di qualcuno, e senza dovere scendere e salire per l’altrui scale: in fondo, sarebbe una versione più moderna del vecchio numero chiuso, previsto in origine dalla precedente legge professionale. *Presidente dell'Unione delle Camere civili