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Avvocati nei Consigli giudiziari: svolta decisiva
Una piccola rivoluzione, quasi inavvertita: riguarda il ruolo degli avvocati nell’ordinamento giudiziario. È destinata a realizzarsi in ogni caso, qualunque sia la successione degli eventi. Il diritto del Foro a votare, nel Consigli giudiziari, sulle “promozioni” dei magistrati è infatti un obiettivo comune di referendum e riforma del Csm. Uno dei cinque quesiti di Partito radicale e Lega appena ammessi dalla Consulta punta a modificare la norma che tuttora esclude la partecipazione dei componenti laici alle sedute dei “mini Csm” (e del Consiglio direttivo della Cassazione) dedicate alle valutazioni di professionalità delle toghe. Con la vittoria del sì verrebbe abrogata la parte della disciplina (il decreto legislativo 25 del 2006, agli articoli 7 e 15) che esclude appunto i componenti laici (anche i professori) dai dibattiti e dal voto sulle promozioni. Un colpo secco. Ma una norma assai simile a quella eventualmente generata dal successo del referendum è contenuta anche nel maxiemendamento Cartabia alla riforma del Csm. Qui la formulazione è diversa, mutuata da un emendamento parlamentare già depositato nel giugno scorso dal Pd: la differenza rispetto al quesito referendario è che, innanzitutto, il ddl non riguarda i componenti dei Consigli giudiziari provenienti dall’accademia: concede il diritto di voto solo ai consiglieri espressi dall’avvocatura. Inoltre, prevede il diritto a partecipare alle deliberazioni solo qualora arrivi una preliminare pronuncia del Consiglio dell’Ordine, in modo da spersonalizzare la scelta dell’avvocato presente in assemblea e sottrarla a sospetti di volontà ritorsive (o adulatorie) nei confronti della toga. In ogni caso, siamo di fronte a un passaggio storico, rispetto al rilevo ordinamentale dell’avvocatura. Già da diversi anni il Consiglio nazionale forense è impegnato a sollecitare il diritto di voto sulle valutazioni di professionalità. Nella legislatura in cui è stato Andrea Orlando a rivestire le funzioni di guardasigilli, l’istituzione forense aveva promosso diverse iniziative sulla partecipazione degli avvocati ai Consigli giudiziari. Orlando sarebbe stato disponibile a sostenere la riforma. Nonostante nella magistratura le voci contrarie prevalessero nettamente sulle poche favorevoli. Tra le eccezioni va citato innanzitutto l’allora primo presidente della Cassazione Gianni Canzio che, da componente di diritto del Csm, si era espresso nettamente a favore di un diritto di voto in capo al presidente del Coa. Non se ne fece nulla per un motivo semplice: Orlando non riuscì a confezionare alcuna riforma del Csm. Con Alfonso Bonafede il discorso si è riaperto. Sempre grazie alle iniziative del Cnf, è emerso come in più della metà dei Consigli giudiziari — organi locali dell’autogoverno della magistratura istituiti in ciascuna Corte d’appello — già sia riconosciuto al Foro quanto meno il “diritto di tribuna”, ossia la possibilità di essere presenti alla riunione, e di intervenire, seppur senza votare, anche quando c’è da esprimere il parere sulla professionalità di un magistrato, ai fini delle valutazioni quadriennali che consentono gli scatti retributivi. Bonafede ha accolto nel proprio testo l’istituzionalizzazione del diritto di tribuna. La commissione Luciani ha suggerito alla nuova guardasigilli Marta Cartabia di mantenere quell’impostazione, appena rafforzata dall’inciso “con pieno diritto di parola”. Ma a quel punto è intervenuta la presa di posizione di diversi partiti favorevoli al diritto di voto: da Forza Italia ad Azione fino appunto al Pd. La cui proposta emendativa è parsa a Cartabia una strada percorribile. Ed è stata appunto recepita nel testo. Ma (come riportato anche in altro servizio del giornale), seppure la riforma del Csm fosse approvata prima del referendum, il quesito sul voto degli avvocati non sarebbe revocato, giacché nel ddl la norma è inserita sotto forma di delega al governo. Ci sarà in ogni caso dunque un voto popolare sulla funzione istituzionale dell’avvocatura. Ed è il dato più rilevante. La professione forense vedrà adeguatamente rappresentato il proprio rilievo istituzionale anche al di là della difesa tecnica del processo. E verrà così anticipata anche la riforma dell’avvocato in Costituzione, che punta a cristallizzare nella Carta il co-protagonismo dell’avvocatura nel “governo” della giustizia, in condizioni di parità con i magistrati. In modo quasi inavvertito, insomma, è alle porte una svolta decisiva per l’immagine e il peso della professione forense. Qualunque sarà, appunto, la sequenza dei prossimi eventi nella politica giudiziaria.