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Un avvocato di Trani, Domenico Di Terlizzi, sottopone l’istanza al suo Consiglio dell’Ordine: «Riconoscere al Foro il diritto di partecipare al Consiglio giudiziario anche quando si diuscute della professionalità dei magistrati». Poche sedute e, la scorsa settimana, lo stesso Consiglio approva. Anche nel distretto del capoluogo pugliese, dunque, la professione forense ottiene il cosiddetto “diritto di tribuna pieno”. Un passo avanti. In una direzione verso cui altre sedi giudiziarie si sono già mosse negli anni addietro.
La vicenda pugliese è comunque esemplare di una tendenza in atto. Bari è un caso di autentica comunità della giurisdizione. Avvocati e toghe hanno trovato un’ancora più salda unità nei disagi per l’inagibilità del Tribunale penale. Parlarsi e condividere e i problemi aiuta. Avverrà anche con la riforma Bonafede? Pare proprio di sì. Tra le questioni al centro del confronto di maggioranza c’è anche la piena partecipazione dell’avvocatura ai lavori delle “cellule” dell’autogoverno.
Il guardasigilli Bonafede non ha dubbi sull’opportunità di rendere universale un principio come quello entrato la settimana scorsa nel regolamento del Consiglio giudiziario di Bari. Tanto che nella più “avanzata” delle bozze sottoposte ( senza esito) nel luglio scorso all’ex alleato leghista, era inserita una specifica previsione sulla «facoltà per i componenti avvocati e professori universitari di assistere alle discussioni e deliberazioni relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, lettera b), del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25».
Il richiamo è alla norma della riforma ordinamentale di 13 anni orsono, che tuttora costringe avvocati e professori a togliere il disturbo quando si discute delle valutazioni di professionalità dei magistrati, salvo che il regolamento locale non preveda diversamente. Una «gemetria variabile», l’ha deefinita il presidente emerito della Cassazione Giovanni Canzio, tra i più autoorevoli sostenitori dell’apertura ai “laici”. Il passo di Bonafede è convinto, e fa già virtualmente parte di un ddl ( quello su penale e Csm) che a breve sarà sottoposto ahjòi alleati. Ecco, gli alleati.
Sia nel Pd che in Italia Viva il ministro troverà interlocutori disponibili a un passo ancora più coraggioso: riconoscere agli avvocati non solo il diritto di tribuna ma il vero e proprio diritto di voto nelle valutazioni di professionalità. Andrea Orlando, quale predecessore di Bonafede, disse, a un incontro organizzato dal Cnf sul tema, che «la valutazione effettiva sul campo delle capacità organizzative dei capi degli uffici non può prescindere dalla valutazione di chi è chiamato a valutare in concreto il funzionamento degli uffici e, quindi, anche degli avvocati».
Un deputato di Italia viva come Gennaro Migliore che, in quella stessa legislatura è stato a sua volta sottosegretario alla Giustizia, nota come «sia giusto ragionare della piena partecipazione degli avvocati ai Consigli giudiziari». E poco più di una settimana fa dal vicepresidente del Csm David Ermini è arrivato forse l’imprimatur più significativo, proprio perché riferibile a chi rappresenta il governo autonomo della magistratura al più alto grado: «Sono convinto che la valutazione dell’avvocatura sulla professionalità dei magistrati sia molto importante», ha detto, interpellato dal Dubbio sulle possibili novità della riforma Bonafede. Le premesse ci sono.
E dimostrano una cosa: che la maggioranza è attraversata sì da divisioni e distanze sulla giustizia, in particolare in campo penale, ma che a tutte le forze di governo è comune una idea “organica” della giurisdizione. Una visione in cui l’avvocatura è destinata a veder sempre più riconosciuto il proprio ruolo.