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«L’odio si combatte con la cultura delle garanzie e dello Stato di diritto». Marco Boato ha attraversato gli anni caldi della storia d’Italia, dal ‘ 68 alla facoltà di Sociologia di Trento dove fondò Lotta Continua insieme ad Adriano Sofri e Mauro Rostagno, sino alle lotte garantiste in Parlamento con i radicali di Marco Pannella. Di quegli anni, che ha raccontato nel libro Il ‘ 68 è morto, viva il ‘ 68! ( e un’altro è in uscita per il cinquantesimo anniversario), analizza il clima, i sogni e gli errori.
Lei è stato protagonista, a Trento, della stagione del 1968. Fu un anno d’odio, quello, e soprattutto di odio di classe?
Per come l’ho vissuto io, insieme a molti altri, è stato tutt’altro che un anno d’odio. Anzi, in quel movimento c’è stata una grande gioia di vivere, la riscoperta della solidarietà, sia tra gli studenti che con gli operai, un impegno per l’uguaglianza contro ogni forma di autoritarismo. Il Sessantotto fu soprattutto un movimento caratterizzato dall’antiautoritarismo in tutte le sue forme: nell’università, nella fabbrica e in quelle che venivano definite le istituzioni totali: carceri, caserme e ospedali psichiatrici.
Nessuna estremizzazione, quindi?
Le estremizzazioni e gli errori ideologici ci furono dopo, quando finì la prima fase del cosiddetto “stato nascente”. Io, però, non credo che siano stati errori dettati dall’odio. Semmai da un eccesso di utopia, tipica delle giovani generazioni quando si affacciano sulla scena sociale e vogliono cambiare il mondo.
Lei fu tra i fondatori di Lotta Continua, nel 1969. Nel movimento teorizzaste il cosiddetto ' scontro generale' con la borghesia e lo Stato. Che cosa significava?
Quello fu un tipico esempio di estremismo ideologico, che a dire il vero durò meno di un anno, a cavallo tra il1971 e il 1972. Poi venne corretto da una riflessione autocritica, fatta pubblicamente sulle pagine di Lotta continua. Comunque, dopo il cosiddetto “biennio rosso ‘ 68-‘ 69”, gli anni Settanta furono certamente attraversati da momenti drammatici e tragici, che cominciarono a partire dalla strage fascista di Piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969. Non a caso si è detto e scritto che quel trauma rappresentò la perdita dell’innocenza per una intera generazione.
L’odio che lei fa iniziare dopo la strage di Piazza Fontana e che ha attraversato l’Italia in quegli anni ha segnato la storia del Paese. Che cosa lo ha generato?
Quella che non a caso fu definita la “strage di Stato” - e poi si vide che vi furono effettivamente complicità istituzionali in una strage fascista che si era cercato di attribuire agli anarchici – cambiò completamente lo scenario italiano. La strategia della tensione e delle stragi, il terrorismo di destra e di sinistra soffocarono le istanze di giustizia e li- bertà che avevano caratterizzato il biennio ‘ 68- ‘ 69 e scatenarono reazioni molto violente, anche cariche di odio. Paradossalmente, gli anni Settanta furono anche anni di grandi riforme, ma quel decennio si concluse nel 1978 con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta. Da quel momento nulla fu più come prima.
Oggi, a quasi cinquant’anni di distanza, che eredità rimane di quegli anni?
Con riguardo alla stagione del ‘ 68, io da tempo invito ad evitare sia le mitologie reducistiche sia le ridicole demonizzazioni. Il ‘ 68 è stato, non solo in Italia ma anche sul piano internazionale, un anno di svolta ma anche di frattura, non solo generazionale. I cambiamenti hanno investito la società e le istituzioni, la cultura e i rapporti interpersonali, sia familiari che sessuali. In ambito ecclesiale, ci furono il cosiddetto “dissenso cattolico” e la “contestazione ecclesiale”. Ecco, gli schemi ideologici di allora sono caduti, ma i cambiamenti sociali e culturali sono rimasti.
Lei, da oppositore in piazza negli anni delle contestazioni, divenne oppositore in Parlamento negli anni Ottanta insieme ai radicali. Famoso è stato il suo discorso di 18 ore, come forma di ostruzionismo. Come mai questo cambiamento?
Sono entrato in Parlamento nel 1979 accettando una proposta di candidatura, insieme a Leonardo Sciascia e altri, da parte di Marco Pannella. L’ingresso alla Camera fu per me decisivo per imparare a vivere dentro le istituzioni rappresentative. Ho maturato l’importanza della cultura delle garanzie e dello Stato di diritto, di rapporti corretti tra maggioranza e opposizione. Sono poi stato anche nella maggioranza e ho fatto parte delle due Bicamerali per le riforme istituzionali, De Mita- Iotti e D’Alema, e in quest’ultima sono stato relatore per i temi della giustizia.
Lei era in Parlamento anche negli anni di Tangentopoli, una stagione feroce nello spazzare via un’intera classe politica. Lei come l’ha vissuta?
In modo drammatico. Certamente il sistema della corruzione andava perseguito, e del resto non mi pare che oggi sia diminuito. Ma il modo in cui è avvenuto, però, mi ha trovato molto critico e credo abbia lasciato guasti profondi, che durano tuttora.
L’odio di classe degli anni Settanta è diventato oggi odio per i politici?
Il paradosso è che l’odio per i politici, indiscriminato, è alimentato anche da chi della politica fa parte a pieno titolo. Persino la campagna sul referendum costituzionale è stata alimentata da una fortissima dose di antipolitica, sia da chi si opponeva sia da chi lo sosteneva. E la questione referendaria ne è rimasta travolta.
Anche la politica è cambiata, quindi?
Io credo che oggi siamo di fronte ad una degenerazione delle istituzioni rappresentative, dove troppo spesso prevalgono appunto l’odio, il disprezzo e l’antipolitica.
Lei si è sempre distinto per le sue posizioni garantiste. Ritiene che oggi, l’Italia, prevalga il giustizialismo?
Non c’è dubbio, purtroppo. Ma questa ondata di giustizialismo viene da lontano ed è stata il frutto delle logiche “emergenziali”: dapprima nella lotta contro il terrorismo, poi contro la mafia e quindi contro la corruzione politica. E chi si opponeva a queste logiche emergenziali in nome dello Stato diritto veniva accusato di volta in volta di essere complice dei terroristi, dei mafiosi o dei corrotti. Il giustizialismo di oggi è sempre più carico di odio e di disprezzo.
E come si combatte questo odio?
L’unico antidoto è proprio quella cultura politica che oggi è venuta sempre più meno. La cultura in generale, ma soprattutto la cultura delle garanzie dello Stato di diritto. Quando manca, la democrazia è compromessa e lo Stato delegittima se stesso.