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Sisto equo compenso
Mai vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato. Questo antico adagio calza a pennello alla procedura di approvazione della legge sull’Equo compenso (AS 2419), che era stata quasi completata con l’approvazione senza modifiche da parte della Commissione Giustizia del Senato, in seconda lettura, il 29 giugno scorso. Mancava un solo passaggio, ossia l’approvazione da parte dell’aula del Senato, che era stata calendarizzata per il 20 luglio. Ma, come è noto, in quel giorno vi è stato un cambiamento del programma dei lavori del Senato, essendo votata la (s)fiducia al Governo Draghi, dopo il discorso del premier. Con una battuta, bastava un giorno in più del Governo Draghi, che la legge sull’equo compenso sarebbe entrata in vigore. Ma si sa che la storia non si fa con i “se” e i “ma”, e tanto meno le leggi. Fatto sta che, smaltite la sorpresa e la preoccupazione dei partiti che hanno sostenuto fino all’ultimo il Governo Draghi, e la soddisfazione, se non il senso di liberazione, delle forze politiche che hanno portato alla crisi di governo, si è posto il problema di come concludere la procedura legislativa di tutte quelle proposte di legge che, al pari della nuova legge sull’equo compenso, godevano di un accordo politico molto ampio per la loro approvazione. Per capire quali siano le prospettive di questo provvedimento tanto atteso dalle professioni ordinistiche, che, inutile negarlo, lo consideravano ormai acquisito, Il Dubbio ha chiesto all’esponente del Governo che più di tutti ha seguito l’iter legislativo di questa norma, ossia il sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, che essendo delegato per le libere professioni, oltre che avvocato, ha esaminato da vicino tutte le disposizioni che le riguardavano. La prima domanda al sottosegretario Sisto è stata quindi questa: c’è ancora speranza per l’AS 2419? Premesso che sarebbe un delitto la mancata approvazione di una norma che tutela diritti costituzionali, come quelli previsti dagli articoli 1 e 36, e che ha visto quasi tutte le forze politiche d’accordo, pur con qualche distinguo, personalmente sono ottimista, e credo che prima della fine della legislatura si troverà un accordo in sede di conferenza dei capigruppo del Senato per una tempestiva calendarizzazione della votazione da parte dell’aula, che va visto politicamente come una sorta di dovere civico, se non etico. Ma perché questa calendarizzazione non è stata prevista all’indomani della crisi di governo? Ovviamente diverse rappresentanze politiche, tra cui la stessa Forza Italia, avevano espresso, anche in conferenza dei capigruppo al Senato, la volontà di mettere subito all’ordine del giorno la votazione di questo provvedimento, ma in quella sede altre forze politiche hanno richiesto che, insieme alla legge sull’equo compenso, fossero calendarizzate anche le votazioni sulla delega fiscale e sull’ergastolo ostativo; a quel punto, giocoforza, si è rinviata alla prima conferenza dei capigruppo di settembre la decisione sulle norme da approvare prima della chiusura della legislatura. Quante sono le probabilità che in extremis si riesca ad approvare la nuova disciplina sull’equo compenso? Da cattolico preferisco credere nella Provvidenza, piuttosto che in un asettico calcolo delle probabilità, ma sono sicuro che alla fine la ragionevolezza prevarrà in tutte le forze politiche. Tutti dovrebbero avere interesse a concludere l’iter di quelle norme che sono state ampiamente condivise, come è stato effettivamente il caso dell’AS 2419, e che inoltre sanciscono principi importanti di tutela degli interessi di lavoratori di assoluta rilevanza, come sono i professionisti italiani. Lei, sottosegretario Sisto, ha fatto riferimento a principi importanti. Ma quali sono? In primo luogo la necessità che il rapporto tra prestazione e controprestazione sia corretto, non “leonino”, ovvero che non ci sia la possibilità di accordi favorevoli solo ad una parte contrattuale forte, ovvero il committente della prestazione professionale; in secondo luogo che spetta ad un’autorità pubblica, come il ministero della Giustizia, definire, con appositi parametri, la valorizzazione minima delle prestazioni professionali. E, in proposito, le nuove tariffe forensi, attese dal 2014, dimostrano come il ministero abbia tenuto in conto anche questi profili. Insomma, se queste norme dovessero essere approvate, finirà il “caporalato dei professionisti”, un fenomeno vergognoso, mortificante, inaccettabile. Non può più succedere che un lavoro professionale sia pagato da aziende e Pubbliche amministrazioni con pochi euro, oppure sia addirittura gratis, come talvolta affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, sulla scorta delle regole oggi in vigore. Ma se non si riuscisse ad approvare la legge? Nessuno dorma! L’impegno a cancellare l’obbrobrio resta, con conseguente vigilanza continua perché fra i primi provvedimenti del prossimo Parlamento ci sia l’equo compenso. È un impegno preciso di Forza Italia, e della coalizione di centrodestra, firmataria del provvedimento.