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Per l’avvocata Nathalie Tomasini, visibilmente emozionata all’uscita dall’aula di giustizia «è una sentenza che farà la storia». Valérie Bacot, 41 anni, omicida rea-confessa del marito ed ex patrigno Daniel Polette, che per oltre 25 anni ha abusato di lei costringendola a prostituirsi, è stata condannata a 4 anni, di cui tre con la condizionale. Ne aveva scontato già uno nel 2017, quindi non tornerà più in prigione. Rischiava l’ergastolo, la pena prevista per l’omicidio premeditato nel codice francese. I giudici della Corte di assise di Saône-et-Loire le hanno invece riconosciuto tutte le attenuanti, lo stato di terrore permanente in cui viveva, oppressa da un uomo sadico e violento che la stuprò per la prima volta quando aveva appena 14 anni. Lo stesso procuratore generale, pur criticando le grandi pressioni mediatiche, (il caso ha appassionato la Francia), ha chiesto che le venisse restituita la libertà per poter riabbracciare i suoi quattro figli, ritenendola socialmente non pericolosa. La presidente della Corte Céline Therme leggendo la sentenza ha evocato lo stato di necessità della donna, definendo l’uccisione di Polette «un omicidio altruista», «una legittima difesa differita», evocando l’intenzione dell’uomo di far prostituire anche la figlia 14enne, la molla che ha fatto scattare nella mente di Bacot l’idea di assassinare il marito. Come evidenzia l’avvocata Tomasini, oltre al fatto che la donna non dovrà tornare in carcere, sono le motivazioni del verdetto che hanno una portata storica per la giurisprudenza transalpina: «Per la prima volta è stata riconosciuta la sindrome della donna picchiata, l’alterazione della sua capacità di giudizio e il concetto di sottomissione psicologica: è una grande vittoria per tutte le donne che subiscono violenze nel silenzio delle mura domestiche».