PHOTO
"Troppo grandi i rischi se permettiamo al Presidente di continuare a usare il nostro servizio". E’ la frase, lapidaria, con cui il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg ha annunciato il blocco della pagina del presidente americano Donald Trump. “I nostri Servizi”, ha detto Zuckerberg. “Servizi”, proprio così: quasi fosse un funzionarietto dell’Acea o di chissà quale altra municipalizzata di luce, acqua o gas. Ma non si rende conto, il buon Zuckerberg - o finge di non rendersene conto - di essere a capo del più potente, diffuso e capillare strumento di comunicazione del mondo. Un colosso che controlla le vite di quasi 3 miliardi di persone influenzandone comportamenti, costumi, consumi e scelte politiche. Ora, iniziamo col dire che i tweet e i post che Trump ha lanciato nelle ore drammatiche dell’assalto a Capitol Hill rasentano la follia e l'irresponsabilità. Ma ci chiediamo: davvero un'azienda privata può decidere di interrompere la comunicazione di un presidente della Repubblica eletto da decine di milioni di cittadini? Davvero Zuckerberg pensa che il diritto alla comunicazione del presidente degli Stati Uniti debba passare all’esame degli algoritmi di Facebook? Ed è accettabile che nel giro di poche ore , forse poche decine di minuti - “l’ufficio censura” di Zuckerberg abbia istituito un “processo” ed emesso una “sentenza” che è stata eseguita seduta stante? Certo, qualcuno potrebbe obiettare che le regole di Facebook sono chiare e valgono per tutti. E qui siamo al secondo delicatissimo tema. I cittadini sono tutti uguali, ci mancherebbe, ma chi è investito da un mandato popolare attraverso libere elezioni deve per forza di cose poter contare su un grado di protezione delle proprie idee quasi assoluto. Insomma, chi afferma che Trump - il presidente Trump - deve poter essere bannato in qualsiasi momento compie la stessa semplificazione di chi, in questi anni, ha predicato e ottenuto la rimozione delle immunità parlamentari. Ma noi ci permettiamo di obiettare: chi varca la soglia delle istituzioni democratiche deve poter essere protetto dall’arbitrio giudiziario così come dalla censura mediatica. Chi sostiene il contrario, temiamo, confonde democrazia con demagogia e plebiscitarismo.