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«Adesso so chi ha ucciso mia moglie e mio figlio. È una persona che conosco, Rosa e Olindo non c'entrano». Le parole di Azouz Marzouk, l'uomo che ha perso la famiglia nella ' Strage di Erba', uno dei più controversi casi di cronaca della storia italiana, sono un fulmine a ciel sereno. E provano a ridisegnare i contorni di una storia definita da tre gradi di giudizio, terminati tutti con la condanna all’ergastolo di Rosa Bazzi e Olindo Romano, diventate definitive il 3 maggio 2011. Nella strage, compiuta l’ 11 dicembre 2006 nell'appartamento di una corte ristrutturata nel centro della cittadina lombarda, furono uccisi a colpi di coltello e spranga Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini con il suo cane. Il marito di quest'ultima, Mario Frigerio, si salvò perché creduto morto dagli assalitori, grazie ad una malformazione congenita alla carotide che gli permise di non morire. Dopo la strage, l'appartamento fu incendiato. Alla base della condanna c’erano tre prove: una macchia di sangue nell’auto di Olindo, la prima confessione dei due - poi ritrattata - e il riconoscimento del testimone oculare, Mario Frigerio. Ma la storia cristallizzata dai tribunali, secondo Azouz, inizialmente sospettato ma scagionato perché in Tunisia al momento del delitto, non sarebbe la verità. Così l’avvocato Luca D’Auria ha presentato al Tribunale di Milano un sollecito firmato da Azouz per la richiesta di revisione del processo sulla strage di Erba. «Le carte dicono chi è stato», ha dichiarato l’uomo a Telelombardia. E per lui i veri responsabili sono entrati a processo «da testimoni». Parole che potrebbero dare man forte alla tesi dei legali dei coniugi, che da anni cercano di ottenere un incidente probatorio «sulle prove ignorate», finalizzato alla richiesta di revisione. Secondo Fabio Schembri, le confessioni di Rosa e Olindo, sarebbero «zeppe di errori», spiega al Dubbio. «Anche la sentenza dice che Rosa è delirante, così come la confessione di Olindo contiene 243 tra errori, “non so” e “non ricordo”». Una confessione, sostiene la difesa, determinata dalla volontà dei due di non separarsi, come provato da «un’intercettazione ambientale: Olindo disse a Rosa di voler confessare per assumersi la responsabilità e farla tornare a casa. Ma lei - spiega - rispose che non c’era nulla da confessare, dal momento che erano innocenti». Ma fu Rosa a confessare per prima, per poi confessare entrambi, fino alla ritrattazione in aula. Anche la testimonianza di Frigerio, secondo il legale, sarebbe poco attendibile: nei primi 15 giorni, infatti, l’uomo indicò un soggetto sconosciuto, di carnagione olivastra, non del posto. «Solo in seguito ad un colloquio suggestivo con il luogotenente della stazione di Erba - sostiene Schembri - che fin da subito aveva sospettato dei coniugi, Frigerio fece il suo nome». C’è poi un altro dato, l’assenza di tracce di Olindo e Rosa sulla scena del crimine e di quelle delle vittime nella casa dei coniugi. C’era, però, un’impronta palmare mai attribuita a nessuno, mentre la macchia in auto di Olindo «potrebbe essere frutto di una contaminazione innocente da parte degli stessi carabinieri, che potrebbero averla trasportata dalla scena del crimine - aggiunge Schembri - tant’è non vi sono altre tracce e non esiste una foto della rilevazione della stessa col luminol».
La richiesta di incidente probatorio, dopo un rimpallo tra le Corti d’Appello di Como e Brescia e la Cassazione, si è inceppata quando gran parte dei reperti depositati presso l’ufficio dei corpi di reato di Como sono stati distrutti. E pochi giorni fa la Corte d’Assise di Como ha rigettato la nuova richiesta di analisi dei reperti rimasti. Tutto, dunque, tornerà in Cassazione, nel tentativo di trovare gli elementi utili alla richiesta di revisione. E le parole di Azouz, ora, potrebbero aggiungersi come ulteriore elemento. «Bisogna vedere cosa ha da dire - conclude Schembri - Più o meno posso immaginare a chi si riferisce, scorgendo le carte. Potrebbe anche esserci una pista finora non valutata. Di sicuro c’erano moventi più forti rispetto alle banali liti condominiali». Rosa e Olindo, ora, «vivono nella speranza, ma anche nella paura dell’illusione».