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«Il killer ha voluto testimoniare il proprio fallimento e io, vittima di mafia, sono riuscito a provare pietà per lui». Stefano Castellino, sindaco del paese di Palma di Montechiaro, nell’agrigentino, ha voluto organizzare un evento nel suo Comune per ricordare l’omicidio del giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Durante la commemorazione, è stata letta anche la lettera del sicario che uccise il magistrato.
Come viene ricordato l’omicidio Livatino a Palma di Montechiaro?
Purtroppo, negli anni passati, quasi tutte le precedenti giunte hanno deciso di non commemorare questa triste scomparsa. La ragione ufficiale era che, nella stessa data qualche anno dopo, era morto un vigile urbano della città. La verità è che, poichè il commando che ha ucciso il giu- dice era composto da cittadini palmesi, le amministrazioni hanno preferito, colpevolmente, non commemorarne la morte.
E perchè lei ha interrotto questo ciclo?
Perchè è giusto e anche doveroso ricordare questo enorme sacrificio di un servo dello Stato. Non solo, però: abbiamo scelto di far ascoltare in sala anche le parole del sicario di Livatino. Per combattere la subcultura mafiosa, infatti, sono convinto sia indispensabile mostrare la faccia della mafia. Puzzangaro, che da giovanissimo ha abbracciato la via della mafia, ha voluto testimoniare il proprio fallimento ed essere esempio per chi oggi è tentato da quella strada, che porta solo a morte e sofferenza, altrui e propria.
Che cosa la ha colpita della lettera di Gaetano Puzzangaro?
Le sue parole, per me che sono credente, hanno mostrato come la morte di Levatino abbia operato una sorta di conversione della sua anima perduta. E lo dico da uomo che alla mafia ha pagato un prezzo familiare enorme.
A chi si riferisce?
Mio zio è stato vicesegretario del comune per vent’anni, nel 1995 è diventato caposervizio dell’igene pubblica ed è stato ucciso dalla mafia nel 1997. Lui viveva in casa con noi e io sono cresciuto con lui, avendo un rapporto privilegiato perchè ero il suo nipote maggiore: per me era una figura quasi paterna. Per questo dico: persino io, che ho ancora una ferita profonda e aperta, sono riuscito a provare pietà verso un carnefice che non riesce a perdonare se stesso e teme il giudizio divino.
Visto il rapporto così controverso della sua comunità con l’omicidio Livatino, non ha temuto le reazioni dei suoi concittadini?
Sì, io e i miei assessori abbiamo avuto il timore che la sala potesse essere vuota. Invece, appena entrati in casa comunale, abbiamo visto l’atrio gremito e la presenza di moltissimi giovani. Io credo che sia la consapevolezza a far riconciliare una comunità. Palma non può disconoscere che gli autori di questo assassinio e deve interrogarsi sul perchè alcuni suoi giovani si siano persi sulla strada del male. Solo capendo gli errori compiuti si può immaginare un futuro diverso per la nostra comunità.
Questo evento è servito a generare consapevolezza?
Io credo di sì. In passato ho avuto una spiacevole sensazione che, nell’elencare le morti di mafia, si elencassero sconfitte. Con questa commemorazione abbiamo voluto dimostrare, invece, che chi ha imboccato la via della morte è un esempio di sconfitta e fallimento. Spero che la testimonianza di Puzzangaro, che dice ai ragazzi di non intraprendere la sua stessa strada, possa aver raggiunto le coscienze dei tanti giovani in sala.