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Sopravvivere nei campi, finire nel bruciarsi vivi dagli incendi e infine essere sgomberati e riversati per strada, senza alternative. È il destino dei braccianti del “ghetto di Felandina”, una struttura abbandonata fatta di prefabbricati a 30 km da Matera, in Basilicata. Sono circa 500 nigeriani, sudanesi, maliani, senegalesi, gambiani, eritrei, burkinabè, darfuriani e livoriani a vivere nell’immenso campo di baracche in legno, plastica, cartoni, ricavato all’esterno ed all’interno delle strutture di quello che doveva essere uno dei poli manifatturieri della Basilicata.
Così, al degrado produttivo si è aggiunto altro degrado, quello vissuto da persone in carne ed ossa, con i loro bisogni inevasi, con la loro sete di vita più giusta, in quell’Italia che, sinora, ha tradito le loro attese.
Il sette agosto scorso, la tragedia annunciata. Tra le sei e le sette del mattino è scoppiato un incendio all’interno del vecchio prefabbricato ed è morta arsa viva una bracciante nigeriana di 28 anni, giunta in Italia nel 2015, quando presentò domanda per il permesso di soggiorno alla Questura di Padova che però la respinse, costringendola, due figli a carico, a fare ricorso.
Ora il sindaco del comune di Bernalda ha trovato la soluzione: ordinanza di sgombero, senza però trovare una sistemazione alternativa per i migranti. Ad opporsi tramite vie legali è la campagna Lasciate-CIEntrare.
Il 19 agosto, l’avvocato Angela Maria Bitonti, ha notificato e iscritto al ruolo il preannunciato ricorso al Tar di Basilicata avverso l’ordinanza n. 21 del 21 maggio 2019 emessa dal sindaco del comune di Bernalda, avente ad oggetto: “Ordinanza Sindacale, contingibile e urgente, adottata per fronteggiare emergenza sanitaria o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”. E si sta preparando anche un ricorso alla Cedu.
LasciateCIEntrare, tramite il suo sito, ha fatto sapere che assieme all’avvocato, si sono recati nuovamente nell’area occupata dell’Ex Felandina, nei giorni scorsi, per verificare le condizioni dei braccianti agricoli dopo lo scoppio dell’incendio del 7 agosto. E così si viene a sapere che le condizioni in cui versano i braccianti continuano ad essere pessime, malgrado i piccoli aiuti che arrivano di tanto in tanto nell’area occupata.
Cumuli di immondizia ovunque mai rimossi dall’amministrazione comunale ( che ha addotto a pretesto il fatto che i braccianti non pagherebbero la Tari in quell’area), un’autobotte che porta l’acqua necessaria per tutte le attività quotidiane che è appena sufficiente, cibo portato dalla Croce Rossa che consiste per la maggior parte del tempo in panini e pezzi di focaccia.
Tutti i braccianti hanno problematiche legate ai rinnovi dei permessi in scadenza e all’assenza di una residenza, per non parlare dei tanti documenti persi e bruciati nel rogo. «Tutte problematiche importanti che sono state sbrigativamente e irresponsabilmente rinviate al mittente anche dalla Questura locale», denuncia Lasciate-CIEentrare.
Sempre secondo gli attivisti il sindaco avrebbe erroneamente e semplicisticamente fondato la propria ordinanza su una nota del Dipartimento di Protezione e Salute dell’Asm Matera. Tale ordinanza appare generica e carente di motivazione. In effetti, non è specificato in alcun modo in cosa consista il “pericolo” e l’“emergenza sanitaria insorgente” né di quale “epidemia” si stia parlando e per quale ragione possa essere talmente grave da giustificare lo sgombero di oltre cinquecento persone.
Nel ricorso, si contesta l’illegittimità e l’infondatezza dell’ordinanza, che pertanto andrebbe annullata. Viene innanzitutto richiamata la violazione dell’art. 11 della Convenzione Internazionale per i Diritti Economici, Sociali e Culturali ( New York, 16 dicembre 1966), ovvero quello relativo al diritto ad un alloggio adeguato, nel quale si evidenzia anche che gli sgomberi forzati non devono lasciare gli individui senza alloggio né violare altri diritti umani.
Inoltre, tale sgombero forzato potrebbe violare l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali ( Cedu), che stabilisce il diritto al rispetto della vita privata e famigliare e che limita l’ingerenza dell’autorità pubblica ai soli casi tassativamente previsti dalla legge. Al pari della Cedu, anche la Carta Sociale Europea Riveduta è annoverabile tra le fonti di diritto internazionale in materia di sgomberi forzati, con le previsioni di cui agli articoli 31 ( diritto all’alloggio), e 30 ( povertà ed esclusione sociale).
Infine, la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, all’art. 5 prevede che “in base agli obblighi fondamentali di cui all’art. 2 della presente Convenzione, gli Stati contraenti si impegnano a vietare e ad eliminare la discriminazione razziale in tutte le forme ed a garantire a ciascuno il diritto alla eguaglianza dinanzi alla legge senza distinzione di razza, colore od origine nazionale o etnica”.
Si contesta anche la violazione dell’art. 32 della Costituzione ( chiamato in causa dalla stessa ordinanza), perché l’esecuzione dello sgombero porrebbe in serio pericolo gli occupanti dell’area dell’Ex Felandina, e perché gli stessi si troverebbero inevitabilmente a vivere per strada in una situazione di totale abbandono che aumenterebbe la loro condizione di emarginazione e vulnerabilità e che sfocerebbe inevitabilmente in un attuale e concreto pericolo per la vita e la incolumità degli stessi.