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Alex Schwazer
«Finalmente c’è scritto nero su bianco che io sono innocente, è da quattro anni e mezzo che aspetto questo giorno, arrivato solo perchè non ho mai smesso di lottare». Alex Schwazer è commosso. Perché ieri, finalmente, la verità che ha tanto urlato è stata certificata. L’atleta non era ricaduto nel vortice del doping. Non aveva mentito quando, dopo lo scandalo che gli costò le Olimpiadi di Rio, giurò solennemente di non aver fatto nulla, di essere pulito, di essere innocente. E lo è davvero, come stabilito dal gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, che ieri, a cinque anni dallo scandalo, ha disposto l’archiviazione del procedimento penale a suo carico «non aver commesso il fatto».
Anzi, a suo danno si era azionata una macchina del fango che ora rischia di ritorcersi contro i manovratori. Una gogna insensata, inutile, che ha fatto cadere l’atleta dal cielo stellato degli sportivi agli inferi degli emarginati. Trattato da reietto, anche dopo la sua riabilitazione dopo lo scandalo della prima squalifica per doping. Era successo nel 2012, quando alla vigilia delle Olimpiadi di Londra venne trovato positivo all’eritropoietina dopo un controllo a sorpresa effettuato dalla Wada. Schwazer ammise in lacrime il suo errore e in un attimo si ritrovò congedato dall'arma dei Carabinieri e squalificato per 3 anni e 6 mesi. Nel 2016, dunque, si affidò a Sandro Donati, maestro dello sport e da sempre schierato contro il doping, preparandosi per l'Olimpiade di Rio. E ricominciò a vincere: la prima medaglia fu alla 50 km di marcia, con lo strepitoso tempo di 3 ore e 39 minuti esatti. Ma il il 22 giugno 2016 venne dichiarato nuovamente positivo, dopo un controllo a sorpresa della Iaaf effettuato il primo gennaio. Secondo quel controllo, nel suo corpo c’era una quantità troppo alta di anabolizzanti e steroidi. E Il 10 agosto, poco prima della 20 chilometri di Rio, il Tas lo condannò a rimanere otto anni fuori pista, di fatto sancendo la fine della sua carriera.
Ma l’architrave, assolutamente instabile, del processo è caduta fragorosamente, una fine anticipata dalla richiesta della Procura di Bolzano, a dicembre scorso, di archiviare le accuse rivolte all’ex marciatore azzurro, campione olimpico della 50 km di marcia a Pechino 2008. «Alex Schwazer - si legge nell’ordinanza - non ha fatto uso di doping, anzi, le sue urine risultate positive sono state alterate». Il caso vede coinvolte l’agenzia mondiale antidoping ( Wada), la federazione mondiale di atletica leggera ( World Athletics, ex Iaaf) e il laboratorio antidoping di Colonia, dove le provette del controllo in questione sono rimaste dal 2 gennaio 2016 fino al febbraio 2018 quando, a fatica, sono state consegnate alle autorità italiane incaricate al prelievo. Per il giudice, quei campioni di urina sono stati, «con un alto grado di credibilità», alterati, «con lo scopo di risultare positivi» così da «ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore Sandro Donati». Per il giudice, sussistano dunque «forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l’accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati», motivo per cui ha restituito gli atti al pm, per verificare le ipotesi di «falso ideologico», «frode processuale» e «diffamazione» ai danni dell’atleta. Una «serie impressionante di artifici e dichiarazioni false», secondo il giudice, che rivolge accuse pesanti nei confronti di Wada e World Athletics: «Nell’odierno sistema Wada e Iaaf (oggi World Athletics) operano in maniera totalmente autoreferenziale ed il presente procedimento ha eloquentemente dimostrato come esse non tollerino affatto controlli dall’esterno ed anzi siano pronte a tutto per impedirlo, al punto di produrre dichiarazioni false e porre in essere frodi processuali». Nessuna garanzia per gli atleti rispetto ai «peggiori intrallazzi», scrive il gip, secondo cui i suoi periti hanno mostrato «alterigia baronale» e «pressapochismo». Non c’è la «pistola fumante», ma comunque prove evidenti della manipolazione. In primo luogo perché i campioni di urine non erano anonimi, né sigillati e non furono consegnati subito dall'ispettore, rimanendo per diverse ore a Stoccarda. Colonia, inoltre, mentì sulla quantità ( 6 ml invece di 18) per sfuggire all'obbligo di consegnare un campione per la perizia, salvo poi tirare fuori una terza provetta spuntata dal nulla e non chiusa. Ma non solo: nelle mail tra il capo dell'antidoping Iaaf, Thomas Capdevielle, e il consulente legale della Iaaf, Ross Wenzel, ottenute a seguito di un’operazione di hackeraggio da parte da Fancy Bear, il primo parla espressamente di «complotto verso A. S. di cui il laboratorio di Colonia è parte». Ma non solo: nelle provette è stata riscontrata una eccessiva e anomala concentrazione di Dna, giustificabile, per il gip, solo con un tentativo di manipolazione, attraverso il riscaldamento delle provette per far evaporare l’acqua dalle urine e aumentare, così, la concentrazione di testosterone. Le ragioni del complotto, ha spiegato al Dubbio Gerhard Brandstädter, legale dell’atleta, stanno tutte nella paura di altre indagini sul mondo «corrotto» dell’antidoping, la certezza che Donati «aveva tutta una serie di informazioni e notizie e aveva collaborato anche a smascherare certe attività del doping, testimonianze che l’atleta ha reso, insomma: rendere poco credibile il team Schwarz, metterlo fuori gioco. E sappiamo cosa è successo a Sochi. Donati e Schwarz potevano dare un contributo importante, ma sono stati attaccati per renderli inattendibili. Un attacco di politica sportiva». Teoria che il gip avalla: il controllo a sorpresa fu deciso il 16 dicembre 2015, giorno in cui Schwazer testimoniò contro i medici della federatletica italiana, accusati di consigliare doping agli atleti.
«È un grande sollievo morale per Alex, che si vede liberato da un sospetto così infamante, diabolico e direi quasi folle - ha aggiunto Brandstädter -. Abbiamo trovato un giudice molto coraggioso e meticoloso, che non si è fatto spaventare dai mille ostacoli che tentavano di frapporsi all’incidente probatorio e un perito qualificato, che ha lavorato con assoluta serietà. C’è tanta gente che dovrebbe vergognarsi per quello che ha fatto, ma una modalità per vergognarsi non c’è, quindi dovranno subire le conseguenze. Adesso esamineremo in sede di diritto sportivo, ma anche penale, visto che sono stati evidenziati comportamenti gravemente dolosi, tutte le strade che questo provvedimento ci apre». La carriera di Schwarz, però, intanto è stata rovinata. «Ma ha continuato ad allenarsi, sta bene e sicuramente potrebbe competere a livello mondiale - ha concluso il legale -. Adesso vediamo se i tempi ce lo permetteranno».