Da mostro a capro espiatorio. Da «infermiera serial killer» all’annullamento dell’arresto. Dalle “bombe” di eparina, iniezioni letali, alla descrizione di «indagini frettolose». La vicenda di Piombino, legata alla 55enne Fausta Bonino, arrestata lo scorso 31 marzo e scarcerata il 23 maggio dai giudici del Riesame, fotografa quanto sia rischioso esporsi in modo categorico anche su crimini inspiegabili, apparentemente senza un movente, che quindi alimentano ancora più rabbia.La Repubblica dell’1 aprile titolava, e non è uno scherzo a dispetto della data, «Fausta, l’infermiera del veleno. Ha ucciso tredici pazienti». Il 24 maggio lo stesso quotidiano sentenzia: «La giustizia impari da questi errori». 53 giorni prima pochi giri di parole anche nel testo dell’articolo. «Pazienti morti anche se potevano tutti guarire. Li hanno uccisi emorragie interne causate da un farmaco anticoagulante». Teatro dei delitti il reparto di Rianimazione dell’ospedale “Villamarina”. «È lì che dal 19 gennaio 2014 al 29 settembre 2015 sono decedute 13 persone, non malati terminali, ma pazienti fra i 61 e gli 88 anni, ricoverati per un femore rotto, una tracheotomia, una polmonite. Dodici per una emorragia non collegata alle patologie di cui soffrivano». Fausta è stata accusata di «omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà e della premeditazione, abuso di potere e violazione dei doveri inerenti a un servizio pubblico». Si puntò il dito su «una forma di depressione», peraltro smentita dall’avvocato della donna.Differenti le conclusioni alle quali sempre “Repubblica” arriva due mesi dopo, citando un adagio caro ai vecchi investigatori: «Prima di arrestare le persone, bisogna arrestare le prove» e «sottoporre ogni elemento al contradditorio tra accusa e difesa. Invece nel caso di Piombino tutto sembra essere stato disatteso». «C’è una sola certezza: almeno quattro pazienti sono stati uccisi», ovvero nove in meno rispetto al conteggio originario. I tre magistrati del Riesame – scrive il quotidiano romano – vantano una tradizione di rigore garantista, tanto che viene citato un precedente, con il no al carcere per capitan Schettino. «Non sono state piazzate telecamere nel reparto dei delitti, non c’è stato il tempo per realizzare perizie sulle cause delle morti e solo ieri la Procura ha chiesto l’esame incrociato delle telefonate». Perentoria la ramanzina conclusiva: «La cattura dell’infermiera è stata trasformata nell’operazione “killer in corsia”, uno show televisivo con tanto di inutile perquisizione negli armadietti dei farmaci a uso delle trasmissioni di cronaca nera che vanno in onda a ogni ora. Una brutta pagina della giustizia italiana, che deve servire da lezione». Anche ai giornalisti.