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Avetrana è un fermo immagine, un posto dove tutto rimane sempre uguale. Un posto come un altro alla periferia delle periferie, fatto di campi cuciti insieme da strade che portano al mare, di cui nessuno, forse, conosceva il nome fino al 26 agosto di 10 anni fa, quando una ragazzina bionda di 15 anni, di nome Sarah Scazzi, scomparve per 42 giorni, per poi riapparire dal fondo di un pozzo senza vita, in diretta tv.
Avetrana diventò un set cinematografico, esempio lampante di quel corto circuito ancora troppo spesso ignorato tra giustizia e spettacolo. Tant’è che 10 anni dopo è proprio la vittima di questa storia, Sarah, a rimanere sullo sfondo di una vicenda triste e ingarbugliata, che ha una sua verità processuale ma non una verità storica. La verità che viene fuori dai processi è che ad uccidere Sarah sono state Cosima Serrano e Sabrina Misseri, zia e cugina prediletta di Sarah. Lo avrebbero fatto nella loro casa, la stessa dove Sarah trovò l’affetto di cui sentiva disperato bisogno. E lo avrebbero fatto per la gelosia di Sabrina nei confronti della cuginetta, troppo vicina a quell’Ivano Russo per cui entrambe provavano qualcosa. Condannate all’ergastolo nonostante Michele Misseri, per tutti diventato “Zio Michele”, figura simbolo della vicenda ma anche della sua trasfigurazione in show da prima serata, continui a giurare di essere l’unico colpevole, dopo averlo affermato, negato e riaffermato, perché sopraffatto, confessò, dalla sua attrazione per quella ragazzina che stava diventando donna. Zio Michele, l’uomo col cappello da pescatore, imitato, trasformato in macchietta, fino a svuotare la tragedia di senso, invitato a parlare e raccontare sugli schermi e sui giornali di tutta Italia, con la semplicità ruvida di un uomo di campagna, un orrore tenuto nascosto sotto un sasso fino al giorno in cui indicò quel buco nero ai carabinieri. Il tutto mentre mamma Concetta, sua cognata e madre di Sarah, era appesa ai microfoni di “Chi l’ha visto?” a lanciare l’ennesimo appello per la figlia. Una figlia riconsegnata morta con la fredda lettura, in diretta, di un lancio d’agenzia, che annunciava il ritrovamento del suo corpo e la confessione dello zio.
Le parole di Michele, per la giustizia italiana, non contano nulla. Troppe volte ha cambiato versione, troppe volte si è contraddetto e tutti, in paese, sanno che a comandare, a tirare le redini, a gestire i soldi e tutto ciò che c’era da gestire in casa era Cosima, la donna che incontrò a 23 anni e che gli cambiò la vita. Per i magistrati e i giudici, il remissivo Michele avrebbe solo provato maldestramente a coprire moglie e figlia, una «fredda pianificatrice» dicono i giudici di Cassazione, che come gli altri non hanno dubbi su chi abbia fatto cosa. E loro due, da 10 anni, si dicono innocenti e vittime di un tragico errore. Due donne inchiodate dalla testimonianza di un fioraio, Giovanni Buccolieri, che raccontò di averle viste inseguire Sarah in auto dopo una lite, afferrarla per i capelli e scaraventarla sul sedile, per riportarla in quella casa dove poi l’avrebbero uccisa con una cintura girata attorno al collo. Salvo poi affermare che si era trattato solo di un sogno. Ma le ritrattazioni, in questa storia, non valgono. E così Michele Misseri è stato condannato per soppressione di cadavere assieme al fratello, Carmine Misseri, e al nipote, Cosimo Cosma, morto di tumore due anni fa. Mentre Ivano Russo, l’oggetto del desiderio, il pomo della discordia alla base di un atroce delitto, che ancora oggi si chiede cosa c’entri, è stato condannato a cinque anni per aver depistato le indagini.
Quasi tutti, ad Avetrana, hanno recitato un ruolo in questa tragedia. Tutti pronti a dire la loro versione dei fatti, a fare ipotesi, raccontare ricordi o anche sogni, concedendosi a microfoni e taccuini come in un reality show di dubbio gusto, inquinando il racconto con particolari a volte utili, a volte meno, talora anche dannosi. Ed è per questo che ad Avetrana, tra le campagne incrostate di polvere e i giorni tutti uguali, sono piombati due scrittori, Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, che mettendo mano a 20mila pagine di atti e parlando con i protagonisti hanno scritto “Sarah. La ragazza di Avetrana” ( Fandango). Un libro che scava in questa storia raccontandola in ogni sua sfaccettatura, esplorando l’abisso della giustizia che diventa spettacolo, del dubbio che rimane ragionevole, ma senza che ciò basti. Un libro che ora diventerà serie tv, quasi a conferma del tragico copione scritto apposta per questo angolo sperduto del Salento.
Dalle pagine del libro Michele viene fuori come un uomo che porta con sé un’infanzia difficile, fatta di botte, abusi, povertà e analfabetismo. Cosima lo salva, è il motore della famiglia, ma è Valentina Misseri, la figlia maggiore, a mettere in guardia tutti: sembra uno sprovveduto, dice, ma è machiavellico. E lei è sicura: è stato papà, che ora tiene un altarino della 15enne nel garage dove è morta, ad uccidere Sarah. Quella ragazzina che da Avetrana sognava di scappare come tutti. Voleva essere amata, voleva amare. E Sabrina, che la chiamava “la principessa triste”, era la sua unica porta verso un mondo sì ristretto, qual è Avetrana, ma comunque più avventuroso del suo. Sarah usciva con lei, frequentava i suoi amici, era la mascotte di una comitiva fatta di giovani adulti. Tra di loro c’era anche Ivano, che tanto piaceva a Sabrina, ma piaceva anche a Sarah. E lui le dava affetto, quello che lei, incurante delle voci che corrono, si inseguono, marcano a fuoco, cercava ovunque.
Concetta denunciò la scomparsa di Sarah alle quattro del pomeriggio del 26 agosto 2010. La ragazza doveva andare al mare con Sabrina e le sue amiche, ma in riva allo Ionio non arrivò mai. Le ricerche partirono subito, i diari di Sarah furono prelevati, tutti finirono sotto intercettazione. Sabrina faceva rumore, attirava i giornali, le tv, cercandola ovunque, in diretta e a riflettori spenti. Sarah diventò, all’improvviso, la figlia di tutti, l’amichetta di tutti, non più solo un nome su una lista di gente che è sparita dai radar. L’Italia intera conosceva il suo volto, il suo corpo esile, gli occhi sgranati di sua madre, ascoltando i fiumi di parole di Sabrina. Tutti avevano un avvistamento da riferire, un veggente da consultare, teorie da snocciolare. Le telecamere si avventarono su Avetrana, ogni angolo fu passato al setaccio e proiettato nelle case della gente. Sabrina veniva perseguitata dai giornalisti, ai quali si presentava spesso disordinata e vestita alla buona, impegnata com’era a cercare la cugina. E l’unica volta che osò truccarsi per apparire davanti alle telecamere venne coperta da insulti. Nessuna pausa al dolore può essere accettata in questo angolo del mondo che decide anche come sia giusto soffrire. Le indagini presero mille strade, fino a quando gli inquirenti non scoprirono che tra lei ed Ivano non c’era solo un’amicizia. C’era di più. E proprio il giorno prima della scomparsa, lei e Sarah litigarono per lui, per le attenzioni che il giovane riservava a quella ragazzina.
Intanto Zio Michele rimaneva ai margini. E fu sentito solo 33 giorni dopo la scomparsa di Sarah, lasciando che fossero le donne di casa, intanto, a parlare. Ma da quel momento, dal primo faccia a faccia con le divise, cominciò a sentire il fiato degli investigatori sul collo. Il 29 settembre fu lui a “trovare”, in un terreno di famiglia, il cellulare di Sarah, poggiato su un cumulo di cenere. Michele lo consegnò ai carabinieri. Ma era lì solo da poco tempo: più volte lo aveva spostato, piazzandolo anche davanti alla caserma, senza però che venisse trovato. Gli inquirenti torchiarono l’uomo, che cominciò a contorcersi attorno alle sue stesse bugie. Per l'ora del delitto non aveva un alibi. E il 6 ottobre, incalzato dalle domande dei pm, confessò: il cadavere è «allu Mosca», dove è cresciuto. Gli era «salito un calore alla testa», disse, voleva violentarla ma lo fece solo dopo, violando il corpo della nipote già morta. Misseri condusse i carabinieri in contrada Mosca, vicino al ceppo utilizzato come punto di riferimento. Sarah riemerse finalmente dal pozzo.
Michele si prese tutta la colpa, salvo, 11 giorni dopo, tirare in ballo la figlia e la sua gelosia. Sabrina fu arrestata, Cosima, poco dopo, pure. E a nulla valse il tentativo di Michele, durante il processo, di rimangiarsi tutto: nessuno gli credeva più. Nonostante continui a dire, ancora oggi, che la colpa è sua, solo sua. Com’è convinta anche la figlia Valentina, che ieri, in un’intervista al Fatto Quotidiano, lo ha ribadito. «Bella giustizia! Non solo per mia madre e Sabrina che sono innocenti, ma soprattutto per Sarah. Solo la gente è stata soddisfatta, ha avuto i suoi colpevoli», ha commentato. Michele potrebbe presto uscire dal carcere, visto che a settembre potrà chiedere misure alternative. E Valentina si mangia le mani, pensa alla madre e alla sorella, pensa che sarebbe potuto capitare anche a lei. «Ogni giorno penso a mia madre e mia sorella in carcere e alle loro giornate infinite. Con questa storia, oltre a essere stata spezzata una vita, sono state distrutte tante famiglie. Fu indagata mezza Avetrana, ma il solo colpevole è mio padre - dice -. La verità è che stavano antipatiche a tutti. A tutta Italia. L'opinione pubblica ha pesato sulla sentenza».
Cosima e Sabrina oggi lavorano, cuciono mascherine in carcere. Della loro innocenza è convinto anche il loro avvocato, Franco Coppi. «Sabrina Misseri è l'angoscia della mia vita - ha raccontato al Foglio -. La notte mi capita ancora di pensare a questa sciagurata e a sua madre. Ho la certezza assoluta della loro innocenza, sarei pronto a giocarmi qualunque cosa. Le prove della sua innocenza e della colpevolezza del padre reo confesso erano talmente schiaccianti che non riesco a capacitarmi di questo fallimento, il ricorso per Cassazione mi ha procurato una delusione insanabile. Questa ragazza sta in carcere da dieci anni: per me è un tormento». Coppi ora spera nella Corte di Strasburgo - che ha giudicato il caso ammissibile - e in una revisione del processo. Il tutto mentre Avetrana rimane quel set che è diventato 10 anni fa. Con la terra sventrata quella notte luogo di pellegrinaggio e la casa dei Misseri monumento dell’orrore. Per calpestare le strade, respirare l’aria di quel luogo macchiato di sangue e godere, ancora una volta, dello spettacolo della morte.