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Come spesso accade in materia di giustizia, bisogna sempre ringraziare i giudici comunitari quando impongono all’Italia di adeguare la propria legislazione ai princìpi fondanti dell’ordinamento giuridico europeo. L’ultimo caso in ordine di tempo riguarda il delicato tema dei risarcimenti per le vittime di reati sessuali ad opera di soggetti nullatenenti. La tragica vicenda ha inizio nel 2007 allorquando, in un comune del Friuli, una bambina di soli undici anni viene violentata da un cittadino albanese, amico di famiglia. Il processo è rapido e l’anno successivo arriva per l’uomo la condanna del Tribunale di Pordenone. I giudici dispongono anche un risarcimento di 100mila euro nei confronti della giovane vittima. La sentenza, confermata in appello e in Cassazione, resta però sulla carta in quanto l’albanese risulta essere nullatenente. Nel processo era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
L’avvocata Rossana Rovere, che assiste la giovane, non si perde d’animo e nel 2010 viene a conoscenza di un episodio analogo che era stato commesso a Torino anni prima. Nel 2005, per l’esattezza, una donna di origini romene era rimasta vittima di una violenza sessuale, dopo essere stata rapita e portata in un edificio alla periferia del capoluogo piemontese. In questo caso, dopo la condanna degli imputati, due suoi concittadini, la donna non era riuscita ad avere da loro alcun risarcimento in quanto i responsabili si erano resi latitanti. A Torino, però, il Tribunale aveva condannato lo Stato italiano, e non i latitanti, a risarcire la donna. L’avvocata Rovere, in passato presidente dell’Ordine di Pordenone e ora componente dell’Organismo congressuale forense, fa presente che esiste una direttiva Ue del 2004, la numero 80, che obbliga gli Stati membri a dotarsi di un sistema di indennizzo “equo ed adeguato” per le vittime di reati intenzionali violenti che non riescano a ottenere un risarcimento dall’autore del reato perché sconosciuto o perché non ha i mezzi.
Lo Stato italiano, insieme alla Grecia, era l’unico Paese a non aver mai recepito tale direttiva nel proprio ordinamento. L’Unione aveva dato un anno di tempo e il termine era scaduto nel 2005.
Rovere cita, quindi, la presidenza del Consiglio dei ministri e inizia una lunga battaglia nelle aule di giustizia. Al Tribunale di Trieste e in appello i giudici respingono i suoi ricorsi, dando ragione all’Avvocatura dello Stato. Si arriva così in Cassazione. A piazza Cavour la causa viene riunita all’episodio di Torino. L’Avvocatura dello Stato, infatti, aveva fatto ricorso per non pagare la somma disposta dai giudici piemontesi. Con due ordinanze interlocutorie vengono sollevate questioni di pregiudizialità davanti alla Corte di giustizia Ue che nel frattempo aveva condannato l’Italia per non aver recepito la citata direttiva Ue.
Nel 2016 era stata nel frattempo approvata la legge 122 che prevedeva un indennizzo “forfettario” per le vittime di violenza sessuale pari a 4.800 euro. La Cassazione aveva chiesto alla Corte Ue se i 4.800 euro potevano ritenersi compatibili con quel risarcimento “equo ed adeguato” invocato dalla direttiva europea. Ebbene, per la Corte di giustizia i 4.800 euro non erano affatto un risarcimento “equo ed adeguato” e dunque lo Stato italiano aveva continuato a essere, sul punto, “inadempiente”.
Con questa pronuncia alle spalle, la Cassazione non ha potuto far altro che respingere l’altro giorno, per una coincidenza proprio nella giornata contro la violenza sulle donne, i ricorsi dell’Avvocatura dello Stato, accogliendo le istanze dell’avvocata Rovere e del collega di Torino che assisteva la donna rumena.
La vicenda non è ancora finita. Adesso si dovrà tornare al Tribunale di Triste per quantificare l’esatto ammontare dell’indennizzo. Nel 2019, va comunque ricordato, dopo un’altra condanna dell’Italia, l’importo era stato aumentato a 25mila euro. Importi insufficienti, hanno affermato anche i legali, perché non è possibile stabilire un forfait per risarcire chi ha subito reati di questo tipo. E poi, è bene sottolinearlo, il grave pregiudizio causato da uno stupro non potrà essere ripagato da alcuna somma. “Adesso - sottolinea l’avvocata Rovere al Dubbio - speriamo comunque che il Parlamento provveda quanto prima, stabilendo finalmente che lo Stato debba farsi carico di risarcire le vittime in questi casi”. Nelle scorse ore Rovere ha rinunciato alla difesa di Giuseppe Forciniti, il 33enne che mercoledì notte, a Roveredo in piano, Pordenone, ha ucciso la povera Aurelia Laurenti, sua compagna. «Non avrei potuto accettare l’incarico dopo una vita e una carriera spese a promuovere la tutela dei diritti delle donne», spiega Rovere al Dubbio. Una scelta dolorosa per qualsiasi penalista. Ma è doloroso pure rendersi conto di quanta strada si debba ancora compiere per mettere fine all’immonda teoria dei femminicidi.