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Salvini incassa, Renzi ci prova, il Pd oscilla smarrito. In un Paese come l'Italia dove anche il più minimo fatto di cronaca nazionale o estero viene puntualmente riciclato e trasformato in propaganda politica non ci si può stupire se subisce la stessa sorte, praticamente in tempo reale, una faccenda come il voto inglese, che invece qualche riflesso sulla situazione politica italiana rischia di avercelo sul serio.
Per Salvini il gioco è sin troppo facile. Sovranismo, Brexit, Anti- europeismo: ' Go Boris Go!'. Ma a far sorridere il leader leghista non ci sono solo le ovvie opportunità propagandistiche che il trionfo di BoJo gli offre, e neppure solo la possibilità di sbandierare un precedente, sia pur calmierato dalla mancata adozione dell'euro, come certo non mancherà di fare. Sono in campo elementi anche più utili. Il prevedibile ( anche se non certo) ulteriore avvicinamento fra Trump e Johnson potrebbe offrire una sponda e dunque maggiori margini di gioco a Salvini. Non sarebbe il primo caso. Proprio prendendosi in equilibrio tra Ue, Russia, e blocco anglo- sassone Berlusconi al suo apice aveva costruito una politica estera molto meno risibile di quanto non apparisse al momento.
Soprattutto, le elezioni del 12 dicembre dovrebbero mettere fine all'incertezza che aveva pesato sulle sorti del Regno Unito dal referendum sulla Brexit in poi, dopo due tornate elettorali inutili. Per Salvini sarà un argomento fondamentale. I Paesi che si si sono trovati a dover convocare diverse elezioni in pochi anni non sono pochi. Ma il voto inglese, ancor più di quello spagnolo, permetterà al leader leghista di affermare che questa è la via democratica per uscire dai labirinti politici. Il peso dell'argomentazione, sorretta dall'esperienza del Regno Unito, sarà molto diverso a seconda della condizione in cui si troverà il governo dopo la pausa di fine anno.
Ieri Zingaretti ha detto forte e chiaro che «la prospettiva alla base dell'accordo di governo è ancor più valida che in agosto». Non era però un discorso tranquillizzante. Il leader del Pd ha infatti bocciato la formula del contratto, sulla quale punta invece Di Maio, per rimettere in campo quella dell'alleanza, che per mezzo M5S è invece inaccettabile. Ha concluso con un monito esplicito: «Noi saremo leali ma la stessa lealtà chiediamo agli alleati». Non sono toni che autorizzino certezze sulle chances della maggioranza di ' ripartire' in gennaio col piede giusto, nonostante gli auspici ufficiali di tutti in questo senso. Ma se, anche una volta sorpassata la strozzatura della legge di bilancio, la maggioranza dovesse riscoprirsi impantanata nelle sue insanate divisioni, Salvini non faticherebbe a indicare l'esempio nglese come via maestra per tirarsi fuori dal vicolo cieco. Renzi, dal canto suo, non ha certo esitato a trasformare la sconfitta di Corbyn in una sua vittoria: «La sinistra radicale è la migliore alleata della destra». L'ex premier abbraccia l'interpretazione della sconfitta del Labor secondo cui esiziale è stata la linea radicale di Corbyn, non la Brexit. Renzi tra certamente l'acqua al proprio mulino e il discorso è inficiato parzialmente dall'esito delle elezioni del 2018. Fu infatti la sua linea, non quella ' alla Corbyn' a spalancare le porte all'M5S, che peraltro, all'epoca, aveva posizioni certo non vicine a quelle di Tony Blair, che resta il modello della «sinistra che guarda a destra».
Tuttavia l'affondo velenoso di Renzi qualche difficoltà al Pd la crea e del resto l'imbarazzo dei democratici è reso evidente dalla penuria di commenti al nuovo quadro inglese. Non è storia recente. Il Pd, non ha mai affrontato il dilemma nato ai tempi del blairismo e oggi la presenza di Renzi e di Calenda rende ancor più difficile fare i conti con la scelta fatta negli anni ' 90 dai Ds, mai confermata apertamente ma neppure mai rinnegata. Ora il Pd si trova stretto tra una sterzata a sinistra sconsigliata dal vento europeo e ancor più da quello britannico e un recupero del ' blairismo' che lo renderebbe indistinguibile dalla visione di Renzi.