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L’anno della paura nera. Se in molti non trovavano la definizione giusta per questo 2020 contrassegnato dalla pandemia di Covid- 19, ci ha pensato il Censis, con il suo 54° rapporto annuale, a mettere nero su bianco i sentimenti degli italiani. Dopo anni di rancore, sovranismo e incertezza, ora i cittadini hanno paura di ciò che potrebbe accadere nel breve termine (essere colpiti dal virus, perdere il lavoro, affrontare un lutto collegabile alla pandemia) o nel lungo periodo (convivere ancora per mesi con mascherine, distanziamento fisico e infodemia). Secondo il Censis l’Italia è “una ruota quadrata che non gira”, dove a fare la differenza per salvarsi dalla tempesta è la protezione del lavoro e dei redditi. Lo pensa l’ 85,8% degli italiani, i quali accolgono con favore anche i bonus previsti dal governo per far fronte alla crisi economica conseguente all’epidemia. L’ 83,9% dei giovani li vede positivamente, così come il 65,7% degli anziani. Tuttavia si rileva anche un 25,1% che li ritiene un meccanismo che può creare dipendenza e un 18,1% che li reputa in grado di mandare fuori controllo il debito pubblico. Chi invece non è soddisfatto dei cosiddetti “ristori”, è l’insieme dei titolari d’impresa, di cui solo il 17,6% ritiene che le misure di sostegno saranno sufficienti a contrastare le perdite subite nel periodo di chiusura. Tra i beneficiari del bonus da 600 euro varato nella prima fase dell’emergenza, si nota il 57% degli avvocati, su un totale di circa due milioni e mezzo di professionisti che hanno avuto accesso all’indennizzo. Il divario tra garantiti (dipendenti statali e pensionati) e non, si allarga, con un conseguente aumento della povertà. Da marzo a settembre, cioè nella prima fase dell’emergenza, 582.485 individui in più vivono nelle famiglie che percepiscono un sussidio di cittadinanza, in crescita del 22,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre quasi 700mila sono i beneficiari del reddito di emergenza. Ma le sacche di povertà risiedono anche in quelle fasce di popolazione non ritenute ufficialmente “povere”, ma che soffrono in egual misura gli effetti nefasti del virus. Il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, ad esempio, vive con insicurezza il proprio posto di lavoro contro un più contenuto 28,6% dei lavoratori presso le grandi aziende. Secondo il rapporto “l’attesa del miglioramento delle condizioni dopo la prima ondata si è trasformata in disorientamento, la semplificazione delle soluzioni in emergenza è diventata sottovalutazione dei problemi”. Di qui l'esigenza di “un ripensamento strutturale per la ricostruzione, per i prossimi dieci anni, per le nuove generazioni”, anche grazie all’utilizzo dei fondi del Next generation Ue. Ma l’Italia della paura, che se non metabolizzata e superata rischia di trasformarsi in rabbia, è anche l’Italia, seppur in minoranza, che sarebbe disposta a rinunciare ai propri diritti civili per un maggior benessere economico. Il 38,5% acceterebbe infatti limitazioni al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni e il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali. “Il 2020 è stato un anno eccezionale e l’anno della paura nera. Gli eventi ci hanno riportato alla nostra nuda vita, con una intollerabile vista pubblica della morte, amplificata dal sistema dei media, resa più inquietante dalla mancanza di una base dati epidemiologica accurata spiega il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii - Questo evento eccezionale ha rappresentato di fatto uno straordinario fattore di accelerazione di alcuni processi che erano già in atto, presistenti nella nostra società. Ha squarciato un velo su vulnerabilità strutturali del nostro paese. Il re è nudo”. E a proposito di questioni legate alla morte, il 43,7% degli italiani è favorevole all’introduzione della pena di morte per reati gravi, contro un 56,3 contrario. La percentuale dei simpatizzanti con il boia di Stato cresce oltre la metà, al 54,8%, nella fascia d’età 35- 64 anni, mentre supera di poco il 20% tra gli over 65. Interessanti, e a tratti drammatici, i dati sulla scuola, dai quali emergono le difficoltà riscontrate nel periodo di chiusura per gli oltre 800mila studenti figli di stranieri, prime generazioni in Italia, i 268.671 alunni con disabilità e i circa 276mila con disturbi specifici dell’apprendimento. Nel 18% degli istituti, inoltre, si è riscontrato un regolare tasso del 10% di dispersione scolastica legata alla didattica anche a distanza, con particolari differenze tra aree del Paese. In generale, tuttavia, il sistema delle reti telematiche impiegati per la Dal ha tenuto, con l’ 87% dei cittadini che ha dichiarato di avere utilizzato nell'emergenza la connessione fissa a casa e che questa è stata sufficiente. Meno del 10% ha lamentato una mancanza di banda adeguata e più del 70% dei cittadini ha dichiarato di possedere le competenze di base necessarie per svolgere tutte le attività online. Per il segretario generale del Censis, Giorgio De Rita, in questa situazione spetta alla nostra classe dirigente, che “nello sforzo di confinare l’emergenza” sembra aver “dimenticato di rimettere mani all’aratro”, trovare la forza, “arando dritto”, di guardare avanti. “Questo sforzo - prosegue De Rita - che è attribuibile alla classe dirigente italiana e che oggi è oscurato da uno sguardo corto, dalla necessità di pensare all'oggi, ai decreti di Natale, è forse la più grande sfida che il nostro Paese ha di fronte”.