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«Da prefetto, come uomo delle istituzioni, debbo andare dove lo Stato ha bisogno. L’altro motivo è il grande amore per la regione Calabria». Con queste parole, pronunciate in Tv, Guido Longo, neo commissario alla Sanità calabrese, ha formalmente accettato l’incarico assegnatogli da governo Conte. Dopo settimane di dimissioni, rinunce e stallo, il sistema sanitario ha finalmente un nuovo commissario. L’ennessimo, da almeno dieci anni a questa parte. Servitore dello Stato, «sbirro vecchia maniera», Longo conosce bene la Calabria. Ultimo incarico prima della pensione: prefetto di Vibo Valentia, ma negli anni ha frequentato parecchio le strade di Reggio, da dirigente della Squadra mobile, prima di diventare questore di Caserta e Palermo. «Mi sono formato negli anni ’ 80 a Reggio Calabria e mi è rimasta nel cuore la gente», ha detto.
Insomma, uomo tutto d’un pezzo e dal curriculum imponente sotto il profilo della lotta alla criminalità organizzata, Longo da ieri siede sulla poltrona che fu di Saverio Cotticelli, altro commissario in “divisa”, generale dei Carabinieri prestato alla Sanità, prima di scivolare su un’intervista televisiva in cui ammetteva di non conoscere il piano anti Covid regionale che lui stesso avrebbe dovuto predisporre. Prima di lui, per pochi mesi a cavallo tra tra il 2014 e il 2015, toccò invece a un generale della Guardia di finanza, Luciano Pezzi, gestire il malconcio sistema sanitario locale.
Del resto, la Calabria, terra di commissari e di Comuni sciolti, è abituata a vedere le proprie amministrazioni pubbliche gestite da tutori esterni. Una pratica che non sempre si è rivelata felice e foriera di rivoluzioni prodigiose. Ora toccherà a Longo ottenere risultati lì dove gran parte dei suoi predecessori hanno fallito: portare a termine il “Piano di rientro”, prosciugando il deficit accumulato dal servizio sanitario regionale, stimato, nel corso dell'ultima verifica ministeriale, in 225 milioni di euro. Compito tutt’altro che semplice, soprattutto se il prefetto decidesse di non seguire le orme di chi lo ha preceduto, fatte di ospedali cancellati dalla cartina geografica e blocchi di turnover. Nel solo 2010, l’allora governatore e commissario ad acta, Giuseppe Scopelliti, chiude 18 ospedali in un sol colpo: Chiaravalle ( Cz), Soveria Mannelli ( CZ) , Scilla ( Rc), Oppido Mamertina ( Rc), Palmi ( Rc), Taurianova ( Rc), Siderno ( Rc) San Marco Argentano ( Cs); Rogliano ( Cs), San Giovanni in Fiore ( Cs), Acri ( Cs), Mormanno ( Cs), Trebisacce ( Cs), Cariati ( Cs), Praia a Mare ( Cs), Lungro ( Cs), Serra San Bruno ( Vv), Soriano ( Vv). Via, con un colpo di spugna. Una beffa per i cittadini, un affare per i privati convenzionati, che mentre il pubblico affonda, continuano a macinare profitti.
Ai calabresi non resta che mettersi in viaggio per non morire di appendicite e pagare una tassa sanitaria occulta, non imposta ai residenti in altre regioni: i costi di spostamento, di vitto e di alloggio per i malati e i loro parenti. E come se fosse un cane che si morde la coda, a furia di tagliare i presidi sanitari non si fa altro che aumentare il debito. Sì, perché se un cosentino va a farsi operare a Milano, a pagare per il suo intervento sarà la regione di provenienza, come testimonia la fotografia implacabile scattata dallosservatorio Gimbe, secondo cui, nel 2018, la migrazione sanitaria è costata alla Calabria 281 milioni di euro.
E se chiudere gli ospedali non basta, allora diventa necessario tagliare, e di parecchio, sul costo del lavoro, rinunciando a rimpiazzare medici e infermieri nel frattempo usciti dal mercato del lavoro. Secondo i dati del ministero dell’Economia, dal 2002 al 2019, passando attraverso 10 anni di commissariamento, il costo per il personale dipendente è passato dal 41 per cento di diciotto anni fa al 31 per cento dello scorso anno. Non solo, secondo il Rapporto sulla Sanità, tra il 2010 e il 2017, quindi solo prendendo in considerazione la gestione commissariale, la Calabria ha perso il 15 per cento del personale medico e tra il 13 e il 15 per cento del personale infermieristico- riabilitativo.
E mentre il diritto alle cure scompare, proliferano interessi privati e criminali, in mezzo a nuovi buchi di Bilancio, che di anno in anno saltano fuori all’improvviso. Risultato: secondo la Corte dei Conti, «i servizi offerti continuano a restare su livelli inadeguati ( nella griglia Lea la Calabria è al penultimo posto in Italia) e, ciò nonostante si assiste dal punto di vista contabile a vistosi ritardi nei pagamenti e nei trasferimenti delle risorse», rileva Vincenzo Lo Presti, presidente della sezione di controllo regionale della Corte dei Conti nel giudizio di parifica del Rendiconto generale della Regione Calabria per il 2018. Che poi evidenzia «una vera e propria dispersione di risorse finanziarie che potrebbero essere indirizzare in modo più efficiente per il miglioramento dei servizi sanitari resi ai cittadini». Le uscite dalle casse pubbliche sembrano fuori controllo. «Solo nell’esercizio 2018, le Aziende Sanitarie Provinciali e le Aziende Ospedaliere hanno pagato, per interessi e spese legali, la considerevole somma di € 23.265.175 che costituisce chiaro indice delle inefficienze dell’Amministrazione», spiega ancora Lo Presti. In più, «è stata rilevata una evidente difficoltà nella riscossione delle entrate (tributarie ed extratributarie) che ha determinato, nel tempo, la formazione di ingenti residui attivi ( ossia, crediti non riscossi) che, oggi, spesso, risultano non più riscuotibili in quanto prescritti ovvero perché il debitore è divenuto insolvente».
Insomma, un sistema che sembra fare acqua da tutte le parti, che nemmeno la decennale gestione commissariale è riuscita a tamponare. Ma la colpa non può essere, come direbbe il presidente della commissione parlamentare Antimafi, Nicola Morra, dei cittadini calabresi, incapaci di selezionare la propria classe dirigente. Quei cittadini, abbiamo visto, sono due volte vittime di un’inefficenza amministrativa che può costare, e costa, quanto la vita di una persona. L’auspicio è che il nuovo commissario Guido Longo riesca nell’impresa finora mai riuscita a nessuno di coniugare la razionalizzazione e la lotta agli interessi criminali e privati con la tutela di un diritto negato sulla punta dello Stivale: quello a una Sanità decente.