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LA LEADER DI FDI ALLA RICERCA DI LEGITTIMITÀ POLITICA
Giorgia “l'idealista” ci ha messo poco a capire che l’accreditamento agli occhi di Bruxelles e di Washington val bene un rinnegamento o una presa di distanza
Candida, sorella Giorgia ha annunciato lunedì sera che lei, se votasse in Francia, non si schiererebbe con nessuno dei due finalisti: «Nessuno dei due mi rappresenta». È vero, tra la leader della destra radicale italiana e la cugina d'oltralpe non corre buon sangue, l'italiana non ha mai dato segno di apprezzare troppo la figlia d'arte francese, casomai gradiva maggiormente il ringhioso padre e fondatore di quel Front National che Marine ha ribattezzato Rassemblement National per tagliare anche gli ultimi ponti con lo scomodo genitore. Ma incarnando Macron più o meno tutto quel che la presidente di FdI giura e promette di combattere l'equidistanza rimane lo stesso clamorosa e al di sotto di ogni sospetto.
Più che eventuali divergenze sulla politica sociale o nei confronti dell'Europa, che certamente ci saranno e a disporre di un microscopio potente le si rintraccerebbero di certo, ad allontanare la primadonna della destra italiana dall'omologa francese è stata probabilmente la frequentazione più imbarazzante che ci sia oggi nel mondo occidentale, Vladimir Putin il Macellaio, l'Invasore, il Nemico. Giorgia è impegnatissima a prendere le distanze, non c'è giuramento atlantista che non pronuncerebbe per far dimenticare quel passaggio dell'autobiografia ancora fresca di stampa in cui si allargava in elogi per il difensore della Cristianità. Marine è meno solerte, forse anche perché ce n'è stato sinora meno bisogno essendo la guerra rimasta sullo sfondo della campagna elettorale francese.
Giorgia l'idealista che per anni ha ripetuto come un disco incantatosi la rivendicazione di coerenza ci ha messo pochissimo per scoprire le regole della realpolitik e l'accreditamento agli occhi di Bruxelles e ancor più di Washington val bene un rinnegamento, come quello di Putin, o una presa di distanza, peraltro insignificante sul piano concreto. La leader di FdI, inoltre, è abile e sa come mettere le cose in modo che la pur clamorosa giravolta non si noti. Bisognerebbe però chiedersi se la sua strategia si riduce all'acquistare merito agli occhi degli americani o se in mente abbia qualche idea in più per sfuggire al destino che teme da mesi, quello che appunto di Marine Le Pen almeno negli ultimi anni.
Su una cosa infatti Gioria Meloni nutre pochissimi dubbi: se alle prossime elezioni il suo partito sarà il più votato a destra per lei si spalancheranno non le porte di palazzo Chigi ma quelle del ghetto. A torto o a ragione, ma più probabilmente a ragione, ritiene che a quel punto gli alleati azzurri ma anche quelli leghisti non perderanno un minuto prima di scaricarla, alla ricerca di qualche formula, consentita da questa legge elettorale dopo e non prima delle elezioni, per dar vita a una qualche maggioranza che escluda proprio il suo partito, fosse pure il più votato di tutti. Da mesi è dunque alla ricerca di una via d'uscita e tutto lascia pensare che nei suoi progetti quella via d'uscita abbia un nome e un cognome: Enrico Letta.
Non si tratta, sia chiaro, di ipotizzare improbabili alleanze tra gli eredi del Pci e quelli del Msi. Quel che Meloni cerca è un gioco di sponda che le garantisca una sorta di legittimazione di fatto, l'abbattimento di quella ' pregiudiziale antifascista' che ancora pesa sulla sua formazione politica esattamente come sul Rassemblement francese. La politica filoatlantica e la marcia appaiata dei due partiti sul fronte del Colle, in gennaio, non rispondono solo a esigenze tattiche né alla conquista di un bollino di affidabilità oltre confine. Si tratta anche di imporsi come forza politica di governo a pieno titolo legittimata dallo stesso principale partito dell'altra sponda.
In questa manovra Letta ha il suo tornaconto: prima di tutto eliminare la minaccia leghista. Una vittoria della destra con trazione FdI è oggi per il Pd meno temibile di un'affermazione della stessa destra con Salvini al comando, perché nel secondo caso nulla eviterebbe la formazione di un governo con un leghista, anche se probabilmente non con Salvini, al comando. Ma è anche possibile, forse probabile, che Letta ritenga davvero l'ex missina meno pericolosa dell'imprevedibile e per definizione poco affidabile leghista. Certo si tratta di un gioco pericoloso. Una volta pienamente legittimata come leader di governo, Giorgia Meloni si giocherebbe la partita in un Paese che quanto ad anticorpi democratici non ha certo le tradizioni e la solidità della Francia repubblicana.