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Patroni Griffi
Riportiamo di seguito l’intervento pronunciato dal presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi ala tavola rotonda organizzata ieri, in via telematica, dall’Associazione veneta degli Avvocati amministrativisti, in ricordo di Feliciano Benvenuti, sul seguente tema: “A dieci anni dal codice del processo amministrativo e a trenta dalla legge 241: partecipazione, procedimento e processo nell’era telematica”.
«Riflettere, a dieci anni dal codice del processo amministrativo e a trenta dalla legge 241, su partecipazione, procedimento e processo nell’era telematica è il miglio modo per ricordare Feliciano Benvenuti. Al suo ricordo è infatti dedicato questo convegno degli Avvocati amministrativisti del Veneto in occasione dell’Assemblea Unaa, cui sono lieto di portare il mio saluto e il mio ringraziamento.
E l’omaggio è particolarmente indovinato per due ragioni: perché coglie l’essenza degli studi di Benvenuti – di cui mi piace richiamare il tratto signorile e cordiale nelle aule ma anche nel piccolo bar di Palazzo Spada sulla funzione amministrativa e sulla partecipazione, vista come connotato saliente del “nuovo cittadino”; in secondo luogo, perché proietta il diritto e il processo amministrativo di Benvenuti nel futuro dell’attualità, cioè nell’era telematica del procedimento e del processo.
Si tratta di quello che Alessandro Pajno ha avuto modo di definire “Benvenuti e il futuro”, in occasione della presentazione degli Scritti giuridici del Maestro nel 2017. Un Benvenuti contestualizzato nel suo tempo e, allo stesso modo, decontestualizzato nella proiezione del suo pensiero nel futuro, che è il nostro presente, ma anche il nostro domani.
Il pensiero di Benvenuti sul procedimento si innesta nella riflessione dogmatica avviata nel 1940 da Sandulli, che sottopone il procedimento amministrativo a una formidabile opera di sistemazione giuridica. Giannini riconosce al riguardo che Sandulli “sembrava non solo aver fatto recuperare il tempo perduto, ma addirittura aver posto la dottrina italiana in una posizione avanzata nello studio del tema”.
BEVENUTI, GIANNINI, SANDULLI E IL DIRIITTO PARITARIO
In Sandulli l’indagine sul procedimento va inquadrata nello studio della teoria generale della fattispecie, risolvendosi nella progressiva formazione della fattispecie in cui si concreta l’azione dell’amministrazione pubblica. Con Benvenuti e Giannini entrano prepotentemente nella struttura procedimentale, quale delineata da Sandulli, la funzione amministrativa e gli interessi a essa correlati; da cui la configurazione del procedimento come “forma della funzione” ( Benvenuti) e luogo deputato alla ponderazione degli interessi ( Giannini), pubblici e privati. Quello che maggiormente mi sembra rilevare ai nostri fini è che si fa avanti fin da allora l’idea probabilmente conseguente, sul piano dei princìpi, del “superamento del vincolo unilaterale tra legge e atto amministrativo”. Superamento probabilmente imposto dalla pratica del fenomeno amministrativo, secondo cui l’interesse pubblico non può essere compiutamente definito nell’astratta previsione di legge, ma è determinato nel procedimento come risultato dell’esercizio di un potere che, proprio nell’accezione di Benvenuti, definiremo “partecipato”, nella logica, di chiara marca costituzionalistica, di un “diritto amministrativo paritario”.
Il ponte tra procedimento e processo è rimarcato da Mario Nigro. Ma il processo “paritario” è presto invocato da Feliciano Benvenuti. Se alle origini l’attenzione fu “portata sulla necessità di un’Amministrazione corretta, anziché sulla necessità di una difesa del cittadino e, so- prattutto, di un mantenimento dell’equilibrio tra le posizioni di questo e i poteri pubblici”, l’autore, nello stesso scritto, indica al legislatore ma anche alla giurisprudenza amministrativa la via per una tutela che vada oltre il mero annullamento dell’atto, aperta alla risarcibilità del danno da interesse legittimo, “completando (...) l’area della tutela” del cittadino.
E così – come mi è sembrato di poter dire in occasione del mio insediamento e della relazione sullo stato della giustizia amministrativa – il luogo della composizione degli interessi e il luogo del conflitto si raccordano tra loro, fornendo alla situazione soggettiva nei confronti del potere una protezione diretta e primaria. La correttezza del potere resta, quasi per contrappasso, “solo” occasionalmente correlata alla tutela offerta al cittadino.
PARTECIPAZIONE, PURE SE LA DECISIONE DIVENTA ROBOTICA
Che ne è di procedimento e processo nell’era telematica?
Sul piano del procedimento, vengono in rilievo diversi aspetti dell’attuale dibattito, non solo tra giuristi: si va dall’uso della telematica nell’accesso ai servizi pubblici al dibattito sulla reingegnerizzazione delle procedure, dalle banche dati delle amministrazioni, in dialogo tra loro e aperte ai cittadini, fino alla decisione amministrativa robotica ( o robotizzata) fondata sul ricorso ad algoritmi. I vantaggi, soprattutto in procedure seriali o ad alto tasso di vincolatezza, dell’applicazione delle tecnologie alle decisioni amministrative, sono evidenti, in termini di speditezza dell’azione e, sotto certi profili, anche dell’imparzialità. Ma sono evidenti anche le criticità della tematica, soprattutto con riguardo alle applicazioni più avanzate dell’intelligenza artificiale, in termini proprio di partecipazione al procedimento e di sindacato giurisdizionale. Poiché la decisione robotizzata non può tradursi in una minor tutela contro le distorsioni nell’uso del potere, è indispensabile assicurare, a monte del processo decisionale, trasparenza dei dati e conoscibilità dell’algoritmo – il che vuol dire un esercizio “partecipato” della funzione nelle sue nuove modalità di esercizio – e, a valle, un sindacato giurisdizionale che vive l’intermediazione del provvedimento ( rectius: del procedimento) in modo del tutto nuovo. E sono queste le criticità sul piano giurisdizionale della decisione amministrativa robotica Sul piano più propriamente del processo, non nego che una decisione giurisdizionale robotica possa trovare applicazione nel nostro giudizio, a mio avviso come supporto alla decisione del giudice ( per esempio, in materia di calcolo del danno da perdita di chance o, in altri ambiti, in materia assicurativa) più che come decisione sostitutiva di quella del giudice. Né nego che l’intelligenza artificiale possa essere di supporto all’attività dell’avvocato nell’ambito della più vasta tematica riconducibile alla cosiddetta giustizia predittiva.
L’EMERGENZA NON PUÒ OFFRIREUN MODELLO STABILE DI PROCESSO
Ma l’emergenza Covid ci ha catapultato in una nuova dimensione del diritto in genere, e del diritto pubblico in particolare, nella complessa regolamentazione dei rapporti tra individui e poteri e tra i vari livelli di potere; e si è avuta conferma ulteriore, nella vita quotidiana, dello stretto rapporto, nella cultura giuridica contemporanea, tra diritto costituzionale e diritto amministrativo. Il primo volto a informare i rapporti pubblicistici appena menzionati ( tra livelli di governo e tra potere e individui), il secondo volto a dare attuazione concreta nella realtà sociale, anche contingente ed eccezionale, ai diritti degli individui ma anche alle relazioni tra persone nella comunità. E il nostro processo non è rimasto certo estraneo a questa contingenza emergenziale, mostrandosi, a mio avviso, idoneo ad adattarvisi, senza dubbio però grazie al supporto della telematica. I giudizi amministrativi stanno affrontando questo percorso con indubbie criticità, anche con qualche tensione ( non solo interpersonale, ma proprio valoriale, di valori da bilanciare), ma dobbiamo riconoscere, credo, che se finalmente usciremo da questo tunnel, alla cui fine abbiamo sempre intravisto la luce, sarà grazie a tre fattori: la flessibilità delle nostre regole processuali, la telematica, il fattore umano, intendendo per questo la capacità, e talvolta la mera volontà, di andare avanti anche sacrificando qualcosa, purché il qualcosa non diventasse troppo. Con una capacità di adattare le regole emergenziali all’evolversi della situazione sanitaria, fino a intravedere finalmente la fine di questo percorso. Perché su una cosa vorrei essere chiaro: la fine dell’emergenza deve riportarci tutti al processo in presenza. Magari un processo più ordinato, un processo che consenta, ad avvocati e giudici, di organizzare meglio le udienze, chiedendo per esempio alle parti di anticipare congiuntamente fuori udienza la volontà di mandare in decisione le cause sugli scritti, in modo da poter meglio pianificare la discussione delle cause rimanenti, sia per il merito sia, con termini diversi, per le cautelari. Ma senza farci passare per la testa una sorta di processo ibrido in cui sia indifferente la presenza in udienza o da remoto del giudice o del difensore.
In altre parole, credo che dobbiamo evitare due atteggiamenti che non mi sembrano “praticamente utili” ai fini del rendere giustizia. Da una parte, se ragioniamo – nella situazione emergenziale – con gli stessi parametri di riferimento, con la stessa “raffinatezza giuridica” che tutti riconosciamo ai giuristi italiani, con il pensiero rivolto al regime ordinario e con il retropensiero che ogni variazione dello stesso ci condurrà allo Stato di eccezione nell’accezione schmittiana del termine, non andiamo da nessuna parte: insomma, non si può pensare di riprodurre in emergenza il sistema ordinario. Dall’altra parte, la mancanza di un’udienza in presenza rappresenta, spero non solo per la mia generazione, una frattura rispetto al mondo e al processo che abbiamo vissuto. L’udienza in presenza consente di rendere vivi il processo e le aule di giustizia. E rende il processo “comune” veramente a giudici e avvocati. C’è la condivisione. Questo è il motivo per cui, almeno nella misura e fino a che dipenderà da me, il ritorno alla “normalità” sarà il ritorno all’udienza in presenza.
E con questo auspicio di poterci rivedere presto, vi saluto, vi auguro buon lavoro e ritorno alla seduta plenaria del Consiglio di presidenza. Grazie».