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«Soldi al clan in cambio di voti: arrestata la sindaca Girasole». È uno dei tanti titoli - a dire il vero neanche il più duro - che la mattina del 4 dicembre 2013 campeggiava sui giornali di mezza Italia.
Vere e proprie sentenze decise a mezzo stampa che condannavano senza appello la sindaca di Isola Capo Rizzuto.
E gli stessi giornali che fino al giorno prima avevano onorato il coraggio della sindaca antimafia, 24 ore dopo erano lì a celebrarne il funerale politico con gran dispiegamento di intercettazioni fornite gentilmente dalla procura. Perché per l’antimafia da parata quella che “si costerna e s'indigna” ( cit. Fabrizio De Andrè) - non c’è nulla di più gustoso che infierire su un eroe finito nella lista dei “cattivi”.
E quel 4 dicembre era toccato alla sindaca Girasole. Ma oggi, a distanza di 8 anni, si scopre che la sindaca non aveva nulla a che fare con i clan della ’ ndrangheta e che quell’inchiesta, pompata per giorni da giornali e tv, era «del tutto infondata».
Di più: dalle famigerate intercettazioni, vendute come prova definitiva della sua colpevolezza, «non può desumersi la fondatezza dell’ipotesi accusatoria».
E si può star certi che l’antimafia di regime non imparerà nulla da questa storia e tornerà a condannare e infliggere pene senza neanche il bisogno di un’udienza preliminare.