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La mattina del primo maggio 1947 da Piana degli Albanesi, San Cipirello e San Giuseppe Jato, più di duemila tra contadini e braccianti con le loro famiglie, si incamminarono verso Portella della Ginestra per celebrare la festa dei lavoratori. Poco dopo le dieci, mentre era in corso il comizio, i primi spari: i fucili e le mitragliatrici della banda Giuliano puntati su una folla inerme. Undici morti e 27 feriti. Ci furono altre vittime. Settantatre anni dopo cerimonia in diretta streaming in tempo di coronavirus. Con uno dei sopravvissuti, Serafino Petta, e il segretario della Cgil Palermo, Enzo Campo, prima nella cappella dedicata ai Martiri di Portella, per la deposizione di una corona di fiori; poi al Sasso di Barbato. I contadini dei paesi vicini erano soliti radunarsi a Portella della Ginestra per la festa del lavoro gia' ai tempi dei Fasci siciliani, per iniziativa del medico e dirigente contadino Nicola Barbato, che parlava alla folla da un podio naturale che fu in seguito denominato "Sasso di Barbato". La tradizione venne interrotta durante il fascismo e ripresa dopo la caduta della dittatura. Nel 1947 non si festeggiava solo il primo maggio, ma pure la vittoria dei partiti di sinistra raccolti nel Blocco del popolo nelle prime elezioni regionali svoltesi il 20 aprile. Sull'onda della mobilitazione contadina che si era andata sviluppando in quegli anni le sinistre avevano ottenuto un successo significativo, ribaltando il risultato delle elezioni per l'Assemblea costituente. La Democrazia cristiana era scesa dal 33,62% al 20,52%, mentre le sinistre avevano avuto il 29,13% (alle elezioni precedenti il Psi aveva avuto il 12,25% e il Pci il 7,91%). La matrice della strage annota Umberto Santino, fondatore del Centro di documentazione Peppino Impastato, apparve subito chiara: la voce popolare indico' i proprietari terrieri, i mafiosi e gli esponenti dei partiti conservatori. Per molti fu l'inizio della strategia della tensione, crocevia della storia oscura non solo della Sicilia, ma anche dell'Italia del secondo dopoguerra. In un suo intervento l'ex presidente del Senato e procuratore antimafia Pietro Grasso defini' quella di Portella della Ginestra una "strage politica, attuata da banditi, mafia, politici e con risvolti internazionali". Un "atto eversivo, non per sovvertire l'assetto politico, ma per consolidare quello esistente e fermare il cambiamento politico e l'avanzamento sociale e dei diritti". Un eccidio che ha visto saldarsi gli interessi delle forze politiche e sociali della conservazione, con quelli della mafia che li' affonda le sue radici. La verita' giudiziaria si e' limitata agli esecutori individuati nella banda Giuliano. Una strage ancora senza mandanti e senza giustizia.