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«Mario Draghi è stato un grande e abile presidente della Bce, ma come politico come sarà? Ci saprà fare? Quale sarà il suo stile?». Le domande in questione se le sono fatte e se le fanno tutti da quando Draghi si è insediato a palazzo Chigi. La risposta è arrivata l'altro ieri, in una conferenza stampa puntualissima e breve, al termine di un cdm lampo nonostante l'importanza delle questioni sul tavolo. Particolari non casuali, perché indicano lo stile asciutto e se necessario drastico dell'uomo.
La decisione di chiedere l'autorizzazione alla fiducia sulla giustizia con una settimana di anticipo sull'approdo della riforma in aula, sotto il bombardamento quotidiano della magistratura e a trattativa con Conte aperta, tanto che i due si erano sentiti al telefono prima del cdm, è stata fatta passare dal premier quasi come scelta di ordinaria amministrazione. La realtà è precisamente opposta. Si è trattato di un atto di forza in piena regola, e non a caso a chiedere l'autorizzazione in sede di cdm non è stato come da prassi il ministro per i Rapporti con il Parlamento D'Incà ma il premier in persona. La mossa di Draghi mira a condizionare da subito la trattativa con i 5S di Conte. Il governo è pronto a modifiche tecniche anche significative, ma non solo in direzione dell'ala giustizialista della maggioranza, anche di quella opposta. Ma non tornerà sulla decisione dell'improcedibilità se verranno sforati i tempi dati, che potrebbero solo essere allungati un po' nei primi tre anni con una norma transitoria.
Non è quello che chiedono la magistratura e Conte. Dovranno però accettare una mediazione per loro al ribasso oppure assumersi la responsabilità di votare contro una fiducia che, senza intesa, il governo porrà sul testo già approvato. Qualcuno vorrebbe farlo, inclusa la ministra Dadone, ma è ben poco probabile che l'avvocato del popolo si azzardi, sapendo che il prezzo sarebbe l'esplosione del Movimento e la fine di ogni possibile alleanza con il Pd. Il parere contrario del Csm ha il suo peso, ma il premier sa di avere dalla sua parte il presidente della Repubblica che è anche presidente del Csm stesso.
Allo stesso tempo Draghi ha deliberatamente affibbiato a Salvini un ceffone in sé gratuito sulla vaccinazione. Tutti, a partire da Salvini stesso, sapevano che sul Green Pass la Lega sarebbe stata sconfitta e nessuno nel Carroccio se ne preoccupava davvero. La messa in scena, con le proteste leghiste, qualche minima limatura da parte del governo e poi il via libera dei dissidenti per finta, era già collaudata e più volte sperimentata. Invece, all'impronta, senza averlo deciso in precedenza, Draghi ha scelto di aggiungere un carico molto pesante, con quella scomunica aperta: “L'invito a non vaccinarsi è un invito a morire o a far morire”. In parte lo ha fatto perché le resistenze di una parte della popolazione al vaccino lo preoccupano davvero. Ma in altra parte lo ha fatto per chiarire che da questo governo tutta la maggioranza che lo sostiene deve aspettarsi, una volta o l'altra, bocconi amarissimi. Tocca ai 5S sulla giustizia, come alla Lega sui vaccini oggi. Domani toccherà a qualcun altro, senza eccezioni.
Lo stile del Draghi politico è questo, squadernato in un solo pomeriggio. Una maggioranza di questo tipo non può trovare veri accordi su tutto. Draghi lo sa e lo dice apertamente. Allo stesso tempo le riforme non possono che essere “condivise”, per risultare efficaci e longeve. È una contraddizione palese, i cui confliggenti termini sono stati sottolineati entrambi dal premier nella conferenza stampa di giovedì sera. Da una simile contraddizione apparentemente insanabile c'è un solo modo di uscire: accettare sempre la mediazione di un “giudice superiore” che, ascoltate le parti e i diversi appunti decide di volta in volta, quasi sempre scontentando qualcuno. Quella decisionalità, quella ultima istanza della mediazione possibile, è il governo, cioè, di fatto, è lo stesso Mario Draghi.
Non è facile per i partiti accettare una simile delega di sovranità. Tutti però hanno già scelto di farlo, con la sola eccezione del M5S. Draghi però non può accettare che uno dei partiti della sua maggioranza, e anzi quello in Parlamento più numeroso, si tenga con un piede fuori dalla maggioranza stessa, riservandosi di accettare o rifiutare di volta involta la mediazione del governo. Anche per questo ha scelto di forzare la mano subito e su un tema decisivo come quello della giustizia e della prescrizione.