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In un momento particolare della vita del paese, di gravi tensioni sociali in Europa e nel mondo, di contraddizioni all’interno degli Stati e tra gli Stati sui modelli di convivenza da mettere in atto sui nuovi rapporti da costruire, in presenza di un crescente spirito antiparlamentare e di contestazioni del ruolo delle istituzioni è importante richiamare i principi fondamentali dello Stato di diritto che hanno garantito finora stabilità e democrazia.
In Italia in particolare è diffusa la volontà di accentrare il potere in una sola persona ed è accentuato uno spirito antiparlamentare che si manifesta in maniera larvata e contraddittoria ma anche in maniera accentuata ed esplicita attraverso una forte contestazione contro i privilegi della politica e in definitiva contro coloro che rappresentano i cittadini: non è solo contestazione contro alcuni privilegi dei politici ma contro il principio stesso della “rappresentanza”, del rapporto tra cittadini e istituzioni nel loro complesso.
Il risultato elettorale delle elezioni politiche del marzo scorso lungi dall’essere interpretato dagli eletti come delega per trovare una strategia ed una sintesi in Parlamento per il vero interesse dei cittadini, viene utilizzato come volontà del popolo in nome del quale in maniera assoluta si può praticare qualunque soluzione.
Questo superamento passerebbe attraverso: 1) un cambiamento della Repubblica parlamentare in una non meglio precisata Repubblica dei cittadini i quali dovrebbero avere una prevalenza assoluta e operare senza organismi intermedi, questo presuppone la eliminazione del fondamentale principio costituzionale per il quale il deputato esercita le sue funzioni “senza vincolo di mandato”, che finora ha garantito la libertà e la indipendenza del parlamentare da qualunque ingerenza esterna e ha qualificato la democrazia. Con questa modifica il parlamentare perderebbe il suo ruolo di libero rappresentante del popolo e il Parlamento sarebbe in balia di una incerta partitocrazia.
La garanzia che la Costituzione dà al singolo parlamentare e al Parlamento nel suo complesso costituisce una conquista delle moderne democrazie e determina un equilibrio istituzionale tra i gruppi parlamentari che sono emanazione dei partirti politici e i singoli parlamentari che votano e si esprimono secondo coscienza. Senza questa garanzia e in presenza di partiti politici sempre più “personali” la “rappresentanza” verrebbe intaccata nel suo valore fondamentale.
2) Il ricorso sempre più frequente all’istituto del referendum come metodo ricorrente di porre domande al cittadino per conseguire il superamento della ' rappresentanza' e per realizzare la democrazia diretta che è il contrario della Repubblica Parlamentare.
Il referendum insomma dovrebbe dare più potere ai cittadini e costituire l’alternativa al ruolo del Parlamento e al ruolo della classe dirigente individuata come “casta“.
In verità, come già aveva osservato nel 1998 in un saggio sulla democrazia diretta Yannis Papadopoulos, “il referendum è un istituto inadeguato alla complessità della società contemporanea, stimola la conflittualità invece della cooperazione, incentiva l’irresponsabilità dei governanti ( che possono sempre imputare al popolo la scelta sbagliata), stimola comportamenti individualistici e utilitaristi”.
Il quesito che viene proposto al corpo elettorale non può che essere semplice e quindi non idoneo a contenere appunto la complessità, come abbiamo potuto verificare con i referendum che si sono celebrati nel nostro paese, dei problemi che inevitabilmente sottende. Appellarsi al popolo per indicazioni su scelte fondamentali è un conto, immaginare che gli possa delegare il governo dei processi costituzionali e delle politiche pubbliche è ben altro e metterebbe a rischio la democrazia.
I valori della Costituzione del 1948, che sono stati riconfermati e rilanciati dalla maggioranza degli italiani nel referendum del 4 dicembre 2016, sono contenuti in un complesso di norme volte a determinare grande armonia tra le istituzioni come garanzia della funzione democratica, Nilde Iotti nel lontano 1982 in occasione di un incontro a Londra tra i Presidenti di Assemblea ha fatto una solenne dichiarazione che conserva per intero il suo valore: “… Le prerogative parlamentari, considerate nel loro complesso sistematico e cioè l’autonomia regolamentare, il principio degli interna corporis, l’autonomia finanziaria e contabile, il sistema di immunità personali e di sede, sono tutti istituti che fanno corpo per assicurare, lo spazio necessario nella libera esplicazione delle funzioni parlamentari…. Il privilegio parlamentare - conclude Iotti citando una celebre definizione di Erskine May, storico costituzionalista inglese - rappresenta la somma dei diritti di cui dispongono collettivamente ciascuna Camera e individualmente ciascun parlamentare per essere in condizione di esercitare le loro funzioni”.
Vi è invece in Italia, e non solo in Italia, una ribellione a questo insieme di norme che hanno garantito la democrazia e la libertà in questi lunghi anni e una contestazione alimentata da movimenti politici che pretendono di interpretare un’opinione pubblica indistinta e non interpretabile per contestare il “sistema”.
Questo è il “populismo” che punta a sostituire l’interpretazione e la gestione dei bisogni e degli interessi del popolo con l’assecondare le emozioni, le insoddisfazioni e le contestazioni della gente.
Umberto Eco ha spiegato che: ' Siccome il popolo in quanto tale non esiste, il populista è colui che si crea un’immagine virtuale della volontà popolare' ( per esempio, sbandierando sondaggi) e quindi ' trasforma in quel popolo che lui ha inventato una buona porzione di cittadini, affascinati da un’immagine virtuale in cui finiscono per identificarsi'. Si capisce che ciò non può che avvenire attraverso i mass media e infatti le diverse specie di populismo sono in relazione con le diverse forme di comunicazione mediale. Anche peggio, con l’avvento dei social network quell’immagine può ben essere il frutto di emozioni e notizie finte ( fake) e di porzioni assolutamente minoritarie della popolazione magari molto attive e aggressive se non di vere e proprie “simulazioni informatiche” ( i famosi troll).
Questo populismo fa sì che il governo non è l’espressione dell’alleanza di gruppi parlamentari che unisce la maggioranza, ma coinvolge anche la minoranza per ottenere la realizzazione del “bene comune”, ma è delegato a realizzare un “contratto” intervenuto tra movimenti o partiti fuori del Parlamento. Ne consegue una perversa predominanza del governo sul Parlamento e una sorta di estraneità dei gruppi parlamentari non più protagonisti e non più idonei appunto a controllare il governo come vuole la Costituzione: questo spiega il leaderismo fortemente personalizzato, e lo stile brutale che intercetta l’istinto emotivo di una parte consistente dell’opinione pubblica.
Il “contratto” anomalo stipulato tra due movimenti, per dare vita al governo ma in realtà scritto e sottoscritto da due leader ( con apparenti approvazioni del tutto coerenti con il populismo descritto sopra: gazebo e votazioni internet a minare la democrazia pari sono), determina la subordinazione del parlamentare al movimento o ai capi di partito, incidendo sulla sua autonomia e sulla sua libertà, alimentando appunto una partitocrazia che giustamente finora è stata combattuta.
Questo clima di intolleranza che si respira in Italia dipende proprio dalla crisi della politica e dal rifiuto di rispettare le istituzioni.
La conseguenza è che si delegittima lo Stato nazionale perché lo Stato non viene più sentito come un riferimento di valori etici e politici, ma al tempo stesso si esalta la “sovranità nazionale” ( il sovranismo), per criticare e rifiutare la sovra- nazionalità che invece unisce i popoli e gli Stati in una necessaria armonia.
L’attuale governo che si ispira a questo nazional- sovranismo rappresenta una conseguenza pericolosa della tendenza in atto in vari Stati europei e ormai accentuata in Italia.
Non si può non convenire sulla considerazione più volte fatta che la lunga crisi economica e quella giuridica hanno oscurato la dimensione politica, e hanno avuto riflessi anche fuori dall’ Europa. La crisi atlantica accentuata nell’ultimo periodo ha isolato gli Stati Uniti da tutti gli altri paesi, e si riflette oggi nella crisi europea. L’organizzazione europea stenta a dare risposte credibili alla crisi economica e agli sbarchi di migranti ma si tratta di difficoltà radicate in un problema ben più grande, di carattere etico politico. Il miope nazionalismo non potrebbe non cedere se si formassero davvero gli Stati uniti d’Europa: ma il vecchio muore e il nuovo tarda a nascere e forse neppure si intravede!.
La democrazia parlamentare, dunque viene grossolanamente bistrattata da politici opinionisti, con ricadute molto negative sulla pubblica opinione, e se la democrazia in Italia non è in pericolo lo si deve a quella solida e sapiente architettura istituzionale costruita con la Costituzione del 1948!
Da anni la opinione pubblica viene bombardata in tutte le sedi con una propaganda ostile alle istituzioni, alla politica, alla classe dirigente che per principio deve essere condannata. La vita politica e istituzionale italiana sembra essere ormai prigioniera del rapporto nemico- amico, legata a presunte scelte tra il bene il male, anziché essere orientata a governare e amministrare le cose possibili per il maggior bene comune.
È anche per queste false motivazioni che la battaglia contro i “vitalizi” degli ex parlamentari, dei quali si discute animatamente in questi giorni è considerata portatrice di grande cambiamento con la motivazione che si determinerebbe la fine di un ingiusto privilegio.
Il problema ha un rilievo istituzionale perché non riguarda la riduzione del vitalizio ma la funzione, il ruolo di chi ha rappresentato le istituzioni e la consistenza dello Stato di diritto che caratterizza la democrazia. Si vuole depotenziare il vecchio Parla- mento e delegittimare la vecchia politica e subordinare il Parlamento ad una indefinita Repubblica dei cittadini non identificabile nello Stato moderno.
Gli Uffici di presidenza del Senato e della Camera vengono sollecitati a predisporre una delibera per ricalcolare retroattivamente con metodo contributivo i vitalizi degli ex parlamentari. L’operazione, originariamente ascritta all’esigenza di ridurre i costi della politica, si è via via rivelata sempre più per quello che è: un intervento punitivo a danno di chi è stato parlamentare e non lo è più, sul presupposto che stia godendo di privilegi rubati e immeritati. Il problema non è più – come pure in campagna elettorale si era detto – dare di più a chi ha meno, ma alleviare i disagi di chi ha poco con la soddisfazione che si punisca chi ha goduto di un privilegio. Privilegio spesso, e al netto di qualche eccesso ampiamente risanato dalla riforma del 2012, collegato a lunghi periodi di impegno politico e al pieno mandato parlamentare ricevuto da cittadini, quando questi potevano votare esprimendo preferenze o scegliendo nei collegi uninominali.
Il vitalizio, come l’indennità del parlamentare, è posto a garanzia dell’indipendenza nei confronti degli elettori, dei cittadini, dei partiti e nei confronti di altre possibili interferenze o pressioni esterne di carattere economico, e questo meccanismo garantisce e protegge non solo il singolo parlamentare ma le istituzioni nel loro complesso.
Per operare una riduzione del vitalizio bisognerebbe quindi agire retroattivamente su diritti quesiti che sono garanti a tutti i cittadini e non possono essere messi in discussione. Sia chiaro una volta e per tutte, l’intervento ipotizzato npn comporta il passaggio al sistema contributivo degli ex- deputati per il futuro, ma prevede – attribuendo ad un provvedimento amministrativo funzioni che nemmeno alla legge sono consentite – di simulare in maniera retroattiva che un ex deputato sia andato in pensione con il sistema contributivo non in questo momento, ma quando lo ha fatto, cioè nel passato e a quelle condizioni. Di fatto una punizione ai parlamentari di allora, retroattiva, per non aver deciso allora di passare al sistema contributivo. La storia ha visto episodi anche peggiori di azzeramento dello Stato di diritto sull’altare della realizzazione di uno stato etico, ma punire ora per allora – nell’esercizio oggi di una presunta autodichia parlamentare – decisioni prese ( o non prese, come nel caso dei vitalizi) dai parlamentari nell’esercizio passato della propria autodichia, rappresenta fino in fondo una violazione del principio dell’autonomia parlamentare.
La irretroattività della legge è un principio fondamentale dello Stato di diritto di tutti i paesi democratici.
Uscire dai binari della legalità costituzionale, contraddice alla esigenza di legalità e di trasparenza sentita in maniera particolare dall’opinione pubblica in questo particolare momento, e significa creare, un pericoloso precedente che mettendo a rischio lo Stato di diritto apre le strade al taglio delle pensioni in essere degli italiani, e quindi mette a rischio la libertà del cittadino.
Si tratta di una problematica molto delicata che deve essere evidenziata per difendere il Parlamento, la sua libertà e la sua autonomia ed è correlata al principio fondamentale dell’esercizio delle funzioni del parlamentare “senza vincoli di mandato” che caratterizza una democrazia parlamentare. È necessario dunque risvegliare la coscienza democratica del Paese per arginare il tentativo in atto di condizionare la vita delle istituzioni alla volontà di chi crede di parlare in nome del popolo, ma interpreta in maniera distorta i valori che hanno consentito la formazione di una società coesa e solidaristica come quella che ancora esiste nel nostro paese.
Difendere la democrazia parlamentare è ancora il primo compito del cittadino e in primo luogo dei Presidenti del Senato e della Camera, e di tutti i parlamentari eletti il 4 marzo 2018.