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A i voti il premier ungherese Viktor Orban è stato sonoramente sconfitto nell’aula del Parlamento europeo. Politicamente le cose sono più complesse e sfumate, non solo perché è probabile che il veto della Polonia blocchi in sede di consiglio dei capi di governo il procedimento contro l’Ungheria avviato ieri. Orban, in realtà, non ha fatto niente per evitare il voto di ieri e convincere la maggior parte dei parlamentari del Ppe ad appoggiarlo, e sarebbero bastati sei voti in meno per bloccare la procedura. Al contrario, e nonostante previsioni opposte, ha scelto la via della sfida aperta, con un discorso che non lasciava aperto alcun margine di ambiguità e chiudeva la strada di ogni mediazione possibile.
Il suo obiettivo, comunque raggiunto, era spaccare il Ppe, era impedire che il gruppo che è ancora asse potante dell’Unione, e che anzi lo è più che mai dopo la serie di disfatte dei partiti aderenti al Pse, riuscisse ad assumere una posizione comune. La strategia che lui e i suoi numerosi alleati disseminati nei diversi paesi europei hanno in mente è esplicita. Mirano a dispiegare per il prossimo maggio una manovra a tenaglia, da un lato con la costituzione di quel robusto gruppo sovranista alla quale sta alacramente lavorando Steve Bannon e del quale farà certamente parte la Lega italiana, ma dall’altro con l’affermazione di una robusta componente del Ppe molto più vicina alla posizione del Movement di Bannon che a quelle tradizionali del cristianesimo democratico europeo. Il gioco di sponda tra le due componenti dovrebbe portare a una complessiva trasformazione della fisionomia dell’intera Unione.
È un’operazione ambiziosa, che non mira più a smantellare l’Unione ma punta a conquistarla ricostruendola a propria immagine e somiglianza. Il successo, nonostante l’accresciuto peso della destra ' sovranista' in quasi tutte le ultime tornate elettorali, è tutt’altro che certo. Perché la manovra abbia reali possibilità di colpire il bersaglio non è necessaria solo una clamorosa vittoria delle forze sovraniste nelle elezioni di maggio ma anche una sostanziale spaccatura del Ppe, tale da minarne alla radice l’influenza e il peso specifico. Da questo punto di vista la sconfitta di ieri è stata per Orban una vittoria, anche perché sul voto dei vari parlamentari europei ha certamente pesato l’intenzione di sanzionare le misure autoritarie del leader ungherese nei confronti dell’opposizione interna e della libertà di stampa più che la linea in materia d’Europa e immigrazione.
Ma è su quest’ultimo piano che si giocherà nei prossimi mesi la sfida europea, come il presidente uscente della Commissione europea Juncker ha confermato nel suo discorso di ieri che, pur se non direttamente riferito al caso Orban, guardava certamente a quel voto ma più in generale all’intero quadro dell’Unione in crisi: «L’Europa non sarà mai una fortezza. Deve restare aperta e tollerante». Su quel piano però la situazione all’interno del Ppe, per il fronte sovranista, è senz’altro più conveniente. È infatti certo che elementi come il cancelliere austriaco Kurtz, che ieri ha votato contro Orban o il leader bavarese Seehofer sarebbero in quel caso più che dispo- nibili a fare da sponda al gruppo esplicitamente sovranista.
In Italia la situazione è più complessa e viziata dai posizionamenti tattici delle tre forze in campo da questo punto di vista. Berlusconi, che pure è certamente molto più europeista di Kurtz, ha votato contro la procedura ai danni dell’Ungheria per non bruciare i residui vincoli con la Lega. M5S, invece, pur essendo senz’altro più vicino del partito azzurro alle posizioni del Movement vagheggiato da Bannon ha invece votato per l’avvio della procedura, per evitare di trovarsi ancora una volta schiacciato sulle posizioni del debordante alleato leghista. Chi pensa a una rottura della maggioranza su un nodo come quello della procedura contro l’Ungheria è ovviamente molto fuori strada. Tuttavia è certo che la situazione che si è creata ieri, con il voto opposto delle due anime del governo creerà qualche problema quando il caso sarà sottoposto al voto del Consiglio. In quella circostanza, infatti, sarà impossibile esprimere due pareri diversi e l’unica scappatoia sembra quindi essere l’astensione. Che però equivarrebbe a dare via libera alle msiure a carico del principale alleato di Salvini in Europa.