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Matteo Salvini, leader della Lega
Di fronte ai cronisti Matteo Salvini minimizza, ma una concessione ai “malpancisti” della Lega, nelle prossime settimane, potrebbe farla. Ovviamente non facendola passare come tale, perché si tratta della vexata quaestio del simbolo del partito. Come è noto, si stano moltiplicando da tempo le richieste plateali di un ritorno all’antico, e cioè alla dicitura “Lega Nord” di memoria bossiana che ha accompagnato la stagione federalista (e secessionista) del Carroccio. Va detto che quanti stanno reclamando a gran voce la rimozione del nome del segretario dal simbolo sono figure rumorose ma senza un grande seguito all’interno del partito, come ad esempio Paolo Grimoldi del Comitato Nord o il gruppo della Liga Veneta, ma al netto di chi sta approfittando della congiuntura politica, Salvini sa benissimo che il tema esiste. Qualche giorno fa, il governatore del Veneto Luca Zaia, tra il serio e il faceto, si è lasciato sfuggire di preferire il nome “Lega Nord” a quello attuale “Lega Salvini premier”, e ha poi dovuto frettolosamente specificare che si trattava di una battuta, per far rientrare il caso politico che ne era già scaturito.
Un segnale di cui, però, il segretario federale ha preso atto, visto da chi proveniva. Ecco perché comincia a circolare sempre più insistentemente la possibilità che in un prossimo consiglio federale Salvini possa accettare di togliere il suo nome dal simbolo, non sostituendolo con “Nord” ( per non abiurare la linea nazionale del partito) ma lasciando solo “Lega”. Una mossa non troppo onerosa politicamente, perché le ultime performances elettorali del Carroccio hanno sancito la fine della vocazione maggioritaria del partito, risalente alla stagione in cui aveva sfondato la soglia del 30 per cento ed era la prima forza del Paese. Attualmente la ragione sociale “per Salvini premier” suona obsoleta, a maggior ragione con Fratelli d’Italia che si è saldamente insediata nel ruolo guida del centrodestra e con la piazza d’onore seriamente a rischio data la vivacità di Forza Italia.
Inoltre, per le tornate di natura territoriale come le Regionali e le Comunali, una formula chiaramente concepita per le Politiche rischia di non essere efficace. Stesso discorso vale per le Europee, la cui posta in gioco non si accoppia con la testata “Salvini premier”, tanto più se il vicepremier non si candiderà personalmente. E sarà probabilmente questo l’argomento che il segretario farà proprio, se e quando deciderà di procedere alla modifica.
Ormai è all’appuntamento di giugno che tutti gli sforzi del leader leghista appaiono proiettati. Nel suo stile, Salvini non ha atteso che i risultati abruzzesi sedimentassero ed è partito in tromba aggredendo immediatamente già da ieri tutti i temi connessi alle elezioni europee, senza tralasciare gli affari interni del partito. Per quanto riguarda le questioni domestiche, da Verona - dove era andato in veste di ministro per presenziare a LetExpo - il leader del Carroccio ha tenuto calda la pista del terzo mandato per i governatori, affermando che «il Veneto nel 2025 rimarrà orgogliosamente leghista».
Nei prossimi giorni presidierà la regione di Zaia: venerdì ha già fatto sapere che si recherà a Padova per «illustrare progetti e grandi opere in Italia e in Veneto». Il tutto, nella settimana in cui al Senato l’emendamento leghista potrebbe essere ripresentato in aula, dopo aver spaccato la maggioranza in commissione. Ed è qui che si entra nel terreno delle possibili noie per Giorgia Meloni e per il suo governo, data la necessità impellente per il Capitano di risalire nei consensi. Un problema simmetrico a quello del campo largo, visti i problemi elettorali di Giuseppe Conte e il sistema proporzionale puro che caratterizza le Europee ed esalta la competizione tra partiti. Con la differenza che Elly Schlein non presiede un esecutivo e un G7, come Meloni. Lo scontro frontale con Bruxelles è già partito ed è stato declinato ieri a mo’ di manifesto: «Chi sceglie la Lega - ha affermato Salvini - sceglie meno Europa. Meno burocrazia, meno tasse, meno regolamenti, meno divieti, meno ideologia pseudogreen. Serve più Italia e serve più Veneto, non più Europa».
Poi, l’affondo per il concorrente più immediato, vale a dire Antonio Tajani, a confermare che la campagna elettorale non sarà un pranzo di gala: «Mi dispiace che qualcuno invece in Europa preferisca la sinistra, i socialisti e Macron, a un'alleanza di centrodestra. Questo, effettivamente, per il Veneto e per l'Italia potrebbe essere un problema, perché poi dall'Europa arrivano le boiate sulle auto elettriche, sulle bistecche sintetiche, sulle tasse sulla casa».