Ieri su alcuni giornali campeggiavano commenti attribuiti a Salvini all'indirizzo di Giorgia Meloni. Parole decisamente pesanti: «Se vota per Ursula von der Leyen potrebbe essere la sua fine». Pioggia sul bagnato, dal momento che la premier era già furibonda per la guerriglia degli ultimi giorni ma probabilmente, pur non potendolo ammettere, per lo scherzetto fattole con lo scippo di numerosi europarlamentari trasmigrati dal gruppo Ecr, quello di Giorgia, ai Patrioti di Orban, Le Pen e dello stesso Salvini. Il leader della Lega non si è limitato a smentire. Ha dato mandato ai legali per procedere contro tutte le testate che avevano pubblicato le false dichiarazioni. Però ha subito confermato che né la Lega né il nuovo eurogruppo di cui ora fa parte potrebbero mai sostenere il ritorno di Ursula alla guida della Commissione europea.

Il leader della Lega, con una mossa così forte, non mira solo a disinnescare ulteriori tensioni nella maggioranza e nel governo ma anche a stemperare le frizioni latenti tra la destra dei Patrioti e quella dei Conservatori. La conferenza stampa organizzata per tenere a battesimo il nuovo gruppo, del resto, era stata due giorni fa costellata da dichiarazioni amichevoli e distensive nei confronti di quella che è oggi a tutti gli effetti una leader rivale.

La stessa Giorgia, ieri, ha negato che si possano definire i medesimi Patrioti 'filo- putiniani'. Però lo ha fatto senza calcare la mano: «Mi pare una ricostruzione da osservatori». È probabile che le parole di Salvini siano state effettivamente gonfiate ma che il voto del prossimo 18 luglio a Strasburgo abbia assunto una valenza molto più dirimente di quanto la premier italiana immaginasse e soprattutto desiderasse è un dato di fatto.

Per la stragrande maggioranza della destra europea il no a Ursula è diventato una bandiera: non solo per i Patrioti ma anche per alcune delle forze principali dell'Ecr, come il Psi polacco non a caso tentato dal passaggio all'armata di Orbàn.

Per la presidente del Consiglio italiana una posizione altrettanto drastica non sarebbe possibile. Prima di tutto perché, a differenza di tutti gli altri partiti di destra europei, lei è alla guida di un governo e di un Paese che ha tutto l'interesse, anzi la necessità, di mantenere buoni rapporti con la prossima Commissione europea. Ma anche e per certi versi soprattutto perché la rottura siglerebbe il fallimento dell'intera strategia impostata da palazzo Chigi nell'arco di quasi due anni.

Meloni ha puntato tutto proprio sul tentativo di condizionare l’Unione europea in particolare sull'immigrazione sulla base di un rapporto stretto con il Ppe e in particolare proprio con Ursula von der Leyen. Non votarla significherebbe ammettere il fallimento e riconoscere di fatto che il turbolento alleato leghista aveva ragione.

La via d'uscita che l'inquilina di Chigi riteneva di avere a disposizione, però, è quasi preclusa. Si trattava di un classico gioco di prestigio formale, quello in base al quale votare a favore del presidente indicato dal Conisglio europeo non equivale a fare parte di una maggioranza.

È davvero così, anche perché il Parlamento europeo non prevede la formazione di alcuna maggioranza se non appunto al momento di votare per la presidenza. Ma il resto della destra da un lato e il gioco duro di Macron e Scholz, che hanno scelto di mettere all'angolo senza sottilizzare troppo l'intera destra Meloni inclusa, hanno quasi completamente vanificato quell'escamotage. Giorgia deve scegliere e si tratterà comunque di una scelta gravida di conseguenze.

Il ritorno all'ovile della destra sovranista la relegherebbe in un ruolo non di secondo piano ma neppure di leadership. Comunque avrebbe alle spalle una sconfitta strategica secca e in politica cose del genere pesano sempre. Un voto quasi isolato per la candidata del Ppe la esporrebbe al rischio di finire proprio nella postazione che vorrebbe a tutti i costi evitare: quella di un cespuglio, pur se folto e importante, a fianco del Ppe. Sulla scelta inciderà inevitabilmente il comportamento dell'establishment europeo, del Ppe e della stessa candidata Ursula.

Ieri l'europarlamento ha deciso le presidenze di commissione confermando la scelta di mettere al bando i Patrioti, nonostante si tratti del terzo gruppo per importanza, ma non Ecr che ha la presidenza di alcune commissioni. Ursula, in vista del voto del 18 luglio, ha avviato una serie di incontri con le diverse forze europee: oggi vedrà i Verdi e i liberali di Renew ma non è ancora chiaro se e quando si siederà al tavolo con i Conservatori. Sullo sfondo resta il nodo del commissario da assegnare all'Italia e soprattutto di quali deleghe dotarlo. Ma spingere la premier italiana verso la destra sovranista, come vorrebbero fare sia Macron che i socialisti, potrebbe rivelarsi una scelta molto miope.