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Le variabili impazzite, prima o poi, diventano sempre un problema soprattutto per chi ci si appoggia o ci si è appoggiato. Marco Travaglio è una variabile impazzita. Da ieri ne sa qualcosa Art. Uno, la componente di LeU proveniente dal Pd, quella di Bersani e Speranza. Alla festa bolognese il direttore del Fatto ha attaccato il premier, cosa del tutto lecita, con toni sufficientemente volgari da richiedere almeno una presa di distanza da parte degli organizzatori dello show, essendo gli stessi parte della maggioranza con tanto di ministro sul palco. Il pubblico invece ha applaudito, il ministro non ha ritenuto opportuno puntualizzare. Tempo 12 ore e la gaffe si è trasformata in tempesta politica. La vicenda è spia di qualcosa di più profondo di una questione di stile. Il fragore di quegli applausi e di quel silenzio è spia di un disagio che nelle file di Art. Uno è più profondo di quanto i suoi leader non vogliano ammettere. Molti pensano davvero che l'arrivo al governo di Draghi "il figlio di papà che capisce solo di finanza ma del resto non capisce un cazzo", sia davvero frutto di un golpe ordito con la complicità del capo dello Stato per divorare i fondi europei arrivati per merito di Giuseppe Conte. I dirigenti sono consapevoli di questi tumori, forse almeno in parte li condividono. Ma stando al governo con tanto di ministro centralissimo, Roberto Speranza alla Salute, certo avrebbero preferito che non emergessero in modo tanto sgradevole e plateale. Ma i problemi di Art.Uno letteralmente scompaiono a paragone di quelli che Il Fatto rappresenta per i 5S. Il Movimento è orfano di leadership da tempo ormai immemorabile. La presa di Grillo si è indebolita sin quasi a scomparire negli ultimi mesi, quella di Conte è ancora solo virtuale. In questo vuoto, che ha amplificato l'angoscia per la progressiva perdita di consensi e identità, i 5S hanno guardato sempre più al giornale-partito che da sempre rappresenta una potenza nell'universo pentastellato, quello appunto di Travaglio. Lo stesso Conte, nella sfida con Grillo, si è appoggiato e si è avvalso moltissimo del sostegno del Fatto, che è stato determinante sia nel costruire il mito di Conte in quel mondo sia nello smantellare quello di Grillo, trattato anche due sere fa al Festival di Art. Uno da visionario mentecatto. Con Il Fatto e con Marco Travaglio, che è a tutti gli effetti un dirigente di primissimo piano del M5S e forse addirittura il più influente il futuro leader deve dunque fare i conti. Solo che il sostegno di quella che per molti militanti è una specie di testata-Vangelo non è affatto gratuito. Non è neppure a buon mercato. Travaglio intende dirigere dalle colonne del suo giornale, senza sporcarsi le mani ma in modo inequivocabile, il Movimento. E intende farlo in una direzione precisa: quella della porta d'uscita dal governo e dalla maggioranza. E' un passo che Conte non è ancora pronto a fare e non è detto che lo sarà mai. L'uomo ha astuzia politica sufficiente per capire che un passo del genere lo piazzerebbe al centro del mirino della Ue: una Fatwa dalla quale non si riprenderebbe più. Sa anche che romper con Draghi implicherebbe la fine di ogni possibile alleanza con il Pd. Il suo neo Movimento calamiterebbe i voti di molti scontenti e recupererebbe i duri del M5S. Poi però sarebbe tagliato fuori da ogni gioco politico. E' anche probabile che non abbia dimenticato l'esperienza della fine del suo governo, un poco ambito traguardo al quale l'avvocato del popolo è arrivato propri seguendo passo dopo passo le indicazioni del Fatto. Con quella forza in realtà del tutto interna al Movimento, però, il premier deve fare i conti. Vuole l'accordo con Draghi, ma deve essere una mediazione accettata sia dal giornale di Travaglio che da quell'ala dura della magistratura che usa quel giornale come proprio megafono. A rendere più difficile la già tutt'altro che facile trattativa di questi giorni sulla giustizia è proprio questo elemento: la "variabile impazzita". I leader dei 5S, con discrezione, lo ammettono apertamente: "Bisogna tenere conto del Fatto". Qualcuno, come Sibilia, lo esplicita anche, quando invita i colleghi parlamentari a non farsi condizionare "dai titoli di qualche giornale". Ma comunque vada a finire la mano che si giocherà nei prossimi giorni alla Camera la partita è appena cominciata. Perché buona parte delle acclamazioni che accompagnano Conte, prime fra tutte proprio quelle degli editorialisti e del direttore del Fatto, applaudono il leader che ritengono li porterà fuori dal governo Draghi. Per Conte sottrarsi a questo condizionamento diventerà sempre più difficile.