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Dietro la cortesia diplomatica d'uopo, la lettera aperta alla presidente della Commissione europea firmata da Conte in risposta alla missiva del giorno precedente di Ursula von der Leyen, entrambe affidate a Repubblica, suona estremamente preoccupata. Mettere nero su bianco, in un momento cruciale come questo che le “anticipazione tecniche” fatte pervenire al governo italiano “non sembrano affatto all'altezza del compito che la storia ci ha assegnato” e che “si continua a insistere nel ricorso a strumenti che appaiono totalmente inadeguati”, è una decisione pesante, che riflette il livello dello scontro in corso in Europa sugli aiuti per i Paesi messi in ginocchio dal Covid- 19. Conte, nella lettera, insiste sugli European Recovery Bond, voglarmente detti “Coronabond”, i titoli di Stato europei limitati però all'emergenza e dunque, secondo Roma, non tali da prefigurare una futura condivisione del debito italiano. Conte sa di aver ormai sponde favorevoli alla sua proposta anche in Germania, a partire dai Verdi, ma sa anche che sfondare la diga dei Paesi nordici e dell'Est è impresa quasi impossibile. L'Italia si è in realtà già acconciata all'idea di dover ricorrere al Mes, il Fondo Salvastati, e di dover quindi accettare alcune condizioni, sia pur light. Il problema è che quelle condizioni, pur mitigate rispetto agli interventi abituali della troika, sono per l'Italia inaccettabili.
Il prestito dovrebbe essere adoperato solo per spese sanitarie e sostegno alle imprese, dunque non potrebbe essere speso per assistenza, la voce forse più critica e la più importante per evitare che all'emergenza sanitaria ed economica si affianchi quella sociale. Inoltre sarebbe confermata la necessità di rispettare “le regole di bilancio e la “flessibilità applicata”, con annesso memorandum. Inoltre, se il debito del Paese fosse giudicato, a maggioranza qualificata dei Paesi membri, “non sostenibile, interverrebbe automaticamente la ristrutturazione. L'Italia non ha accettato. L'Olanda neppure ma per il motivo opposto: vorrebbe condizioni più vicine a quelle previste dai trattati. Più rigide.
Non si tratta però solo di un braccio di ferro tra Roma e Bruxelles, che deciderà tra il 9 e il 10 aprile nel vertice dei capi di Stato preparato dalla riunione dell'Eurogruppo di martedì prossimo. Sugli aiuti europei rischiano di naufragare sia il tentativo di dialogo, almeno finché dura l'emergenza, tra maggioranza e opposizione sia la coesione della maggioranza. Lega e FdI non possono ch alzare barricate di fronte a un ricorso al Mes che preveda condizioni di questo tipo. I 5S sono sempre stati assolutamente contrari agli aiuto dell'ex Fondo Salvastati lo hanno ribadito anche negli ultimi due giorni: lo strumento è comunque inadeguato. Tanto più se le condizioni fossero, come al momento sono, meno “light” di quanto non sembrino.
Lo stesso varo del Sure, il fondo europeo per le casse integrazione di 100 mld, ha aiutato fino a un certo punto a stemperare le tensioni. E' senza dubbio un segnale positivo, ma più simbolico che altro. Intanto la formula è “fino a 100 milioni” e dipenderà da quanto gli Stati accetteranno di versare a garanzia del Fondo se ariveràa quel tetto o se ne distanzierà. Inoltre i tempi di erogazione potrebbero essere molto lunghi ma soprattutto si tratta appunto di un prestito, che dovrà essere restituito e che richiede “garanzie irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili”.
Il governo si sente quindi preso in una specie di tagliola. Da un lato ritiene che la tensione delle scorse settimane con l'Europa vada sciolta subito e una volta per tutte, anche a costo di ingoiare quel “Mes condizionato” che è stato più volte definito “inadeguato” e di rinunciare allo strumento di condivisione del debito che sarebbe la strada migliore per l'Italia e per altri Paesi, incluse Francia e Spagna. Ma dall'altro non può piegarsi alle condizioni europee, se non cambieranno nella prossima settimana, senza accettare condizioni molto pericolose e senza rischiare uno scontro politico violento e su tutti i fronti nel momento peggiore.