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Di tutto sentivano il bisogno, Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, tranne che di un fronte sindacale interno ribollente. Nessun governo è mai contento di doversela vedere con una conflittualità sociale elevata. In questo caso però le ragioni che sconsigliano la conflittualità sono anche più numerose e pesanti del solito. L'aria che tira è pessima e rende ancora più delicati i rapporti con mamma Europa. La Ue ha fornito ieri le previsioni di crescita che abbassano le previsioni precedenti per tutti i Paesi dell'Unione e dell'Eurogruppo.
L'Italia perde un decimale, rispetto alle media europea di due decimali, scivola dallo 0,9 allo 0,8 per cento. Sale di un decimale anche il deficit, che passa dal 4,3 al 4,4 e qui la preoccupazione invece è massima anche se non per quel decimale che in sé cambia pochissimo. È proprio il deficit in sé, troppo lontano dal parametro del 3 per cento che in un modo o nell'altro tornerà comunque in vigore a partire dal prossimo primo gennaio.
Il 21 novembre arriverà il verdetto della Ue sulla legge di bilancio e a Roma tutti si aspettano bacchettate proprio sul livello troppo elevato di deficit e debito: di fatto un'esortazione robusta a fare di più e fare di più vuol dire spendere di meno, tagliare di più. Per come si profila, poi, il nuovo Patto di Stabilità dovrebbe concedere margini almeno di discussione in merito al debito ma non sul deficit e anzi solo a condizione di un intervento drastico sul deficit.
Domani arriverà il giudizio di Moody's, che tra le agenzie di rating è la più temuta perché è quella il cui giudizio sulla affidabilità dei conti italiani è di gran lunga il più severo: un downgrade porterebbe i titoli italiani ai confini della spazzatura e qualche ripercussione negativa sui mercati è prevedibile. Il 20 novembre, poi, dovrebbe essere l'ora della verità sul Mes, che approderà dopo una raffica di rinvii a Montecitorio. Ci arriverà però solo per essere immediatamente dirottato in Commissione, essendo il governo deciso a far votare appunto il ritorno alla base come espediente per prendere tempo. Ma gli espedienti serviranno a poco per quanto riguarda i rapporti con un'Unione già imbufalita per il blocco della riforma imposto dall'Italia e che sembra avere tutte le intenzioni di presentare il conto con le nuove regole del Patto di Stabilità. Sempre che l'Italia non scelga davvero di bloccare negando la firma anche quella riforma, col che però i rapporti con Bruxelles e con molte capitali europee precipiterebbero al minimo storico.
Non mancano elementi più positivi, come la retromarcia a tutta gallara innestata dall'inflazione. La situazione è difficile, non disperata o almeno non ancora. A maggior ragione una conflittualità sociale alta è quanto di più sconsigliabile e sgradito. Giorgetti ha lasciato trapelare il suo disappunto con dichiarazioni molto rispettose nei confronti dello sciopero, opposte a quelle del suo leader. Giorgia Meloni ha scelto il silenzio, evitando di commentare la diatriba del giorno e dal momento che è un caso più unico che raro il silenzio è quanto mai eloquente.
Tuttavia la premier non se la è sentita di tirarsi indietro. Non si è esposta ma ha lasciato che lo facesse il suo partito e con FdI tutte le altre forze di maggioranza. Seguire il leghista non si poteva, perché la premier non vuole esporsi troppo in uno scontro che potrebbe degenerare in conflitto sociale nel momento peggiore. Però neppure smentirlo era una via praticabile, perché il tema è uno di quelli a cui l'elettorato di destra e più sensibile ma anche perché, in punta diritto, la commissione di Garanzia ha probabilmente ragione, come ammettono a porte chiuse anche parecchi esponenti della sinistra. Da questo punto di vista Salvini, il cui primo problema è ritrovare un ruolo che gli garantisca rendita politica e visibilità, stavolta ha segnato un punto ed è una ragione di malumore in più per Giorgia.
Ma in questa vicenda nella quale la sproporzione è vistosa rischia di andarci di mezzo un elemento essenziale di qualsiasi democrazia: il diritto di sciopero. Solo che è un problema di lunga data, non nato tre giorni fa con Salvini. C'era già quando, nel 2021, la commissione di Garanzia ordinò di esentare dallo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil una serie di categorie. Senza dubbio la destra sta aggiungendo un mattoncino importante alle limitazioni del diritto di sciopero, ma la strada era già aperta e non solo dalle regole. Protestare nel caso specifico come fa la sinistra è giusto. Ma senza rimettere in discussione un intero percorso ostile a ogni forma di conflittualità sociale è anche del tutto inutile.