Aldo Moro fu un giurista completo: filosofo del diritto e processual- penalista. Questa caratteristica, con grandi competenze sia a livello teorico che pratico, lo ha reso un esponente delle istituzioni attento ai cambiamenti dell’Italia nel dopoguerra. Ottant’anni fa c’era bisogno di ricostruire il Paese; il politico e accademico salentino offrì un contributo prezioso. Secondo Fulco Lanchester, professore emerito di Diritto costituzionale italiano e comparato alla Sapienza di Roma, gli studi e gli insegnamenti di Aldo Moro sono ancora attuali «per il taglio metodologico, che travalica la disciplina di competenza e, quindi, il diritto e la procedura penale, per allargarsi alla filosofia del diritto e alla teoria generale. Moro – aggiunge Lanchester – era caratterizzato da una larghezza di impianto, che poi diveniva specifico nell’attività di ricerca scientifica, ma che era fortemente collegata con la sua impostazione anche filosofica e politica».

Professor Lanchester, l’attività accademica e di studio di Moro è stata intensa: ha influenzato anche la politica?

Ricordiamo prima di tutto che Moro si laureò in Diritto e procedura penale nel 1938, discutendo con Biagio Petrocelli nell’Università di Bari una tesi su “La capacità giuridica penale”. L’ateneo barese era stato istituito nel 1924-1925, con una facoltà di Giurisprudenza completamente nuova. Conseguita la laurea, Moro iniziò dal 1939 un’attività di “pendolarismo” tra Bari e Roma. Assunse la carica di presidente della Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana, con una presenza non solo nell’Ateneo di Bari, ma anche in quello di Roma. Tutti pensano che Moro si sia trasferito a Roma per ragioni accademiche soltanto nel 1963, ma già nell’anno accademico 1939-1940 venne nominato da Arturo Rocco, ordinario di Diritto penale e fratello di Alfredo già ministro di Grazia e Giustizia, assistente volontario presso la cattedra della Facoltà di Giurisprudenza dello Studium Urbis, oggi la “Sapienza”, e con questa posizione, anche se semplicemente di tipo formale, rimase anche a Roma fino al 1945. Mentre era deputato all’Assemblea costituente, vinse il concorso a cattedra nel 1947 con una commissione in cui era inserito Giuliano Vassalli, ma a Bari insegnò, oltre a materie penalistiche, anche Filosofia del diritto, sulla scia dei docenti che lo avevano preceduto, Michele Barillari e Guido Gonella, e con una prospettiva ampia di Teoria generale che gli servirà anche per l’attività alla Costituente. Possiamo affermare che l’intellettuale e l’accademico Aldo Moro trasferisce le sue conoscenze e le sue pulsioni scientifiche in politica e viceversa.

La persona al centro: anche da qui nasce il contributo del giurista pugliese alla Costituzione?

Sì: in realtà il personalismo è una tendenza del mondo cattolico, molto radicata ma che si sviluppa, per esempio, con Maritain in Francia, penetra in Italia e diventa il leitmotiv dell’impostazione anti-statualista dei cattolici anche alla Costituente. Ritengo questo aspetto molto importante.

Moro, lo abbiamo accennato poco fa, fu un eminente filosofo del diritto e un processual-penalista. Questo duplice profilo, che possiamo definire teorico e al tempo stesso pratico, lo ha reso un legislatore ancora più sensibile ai cambiamenti della società del dopoguerra?

Aldo Moro è stato un esponente di punta della Democrazia cristiana, che, a differenza di altre organizzazioni politiche, come il Partito comunista e il Partito socialista, si avvalse nel periodo Costituente di esponenti del mondo accademico, in particolare di quello giuridico. Ricordo, oltre ad Aldo Moro, Giuseppe Dossetti, Costantino Mortati, Gaspare Ambrosini, Carmelo Caristia e Egidio Tosato, solo per fare alcuni nomi. C’è tutto un mondo di giuristi che non sono soltanto tecnici, perché per essere dei buoni tecnici bisogna avere una visione ampia della società e delle istituzioni e vedere come queste si collocano storicamente nell’ambito della trasformazione sociale. Aldo Moro fu attento a questo profilo, così come i costituenti cattolici poc’anzi citati.

Quello di Moro è stato dunque uno dei profili più completi, nella storia istituzionale italiana.

Il ceto politico, emerso dopo il crollo del regime fascista, nelle polemiche coeve poteva essere considerato criticamente ma, se visto in maniera comparativa con il ceto politico che gli è succeduto, fu di altissimo valore sia per preparazione che per estrazione. Con la scomparsa di Aldo Moro vi è stata la fine di una ipotesi di confluenza, di convergenza e di normalizzazione del sistema. A differenza di ciò che è capitato in Germania nel periodo 1945-1980, in Italia il sistema non si è normalizzato completamente, e la stessa Costituzione non è riuscita a essere fonte di un concreto e indiscusso patriottismo costituzionale.

Figure come Moro sono state senza alcun dubbio importanti per il tentativo e per i risultati anche parziali di normalizzazione del sistema. Ciò che è successo tra il 1978 e il 1980 evidenzia, tuttavia, l’emergenza che ha caratterizzato il sistema politico- costituzionale italiano e che non è stata ancora superata. Il problema della permanenza della transizione fa dire ad alcuni che non esiste una transizione, ma esiste uno status deficitario. Moro è stato uno dei personaggi che ha cercato di normalizzare il sistema con l’ipotesi del primo governo di centrosinistra.

Nel 1963 divenne presidente del Consiglio del primo governo organico di centrosinistra, e in previsione di quest’incarico e del suo desiderio di continuare a tenere lezione, venne chiamato sulla cattedra di Istituzioni di diritto e procedura penale presso la Facoltà di Scienze politiche di Roma, dove insegnò sino al 16 marzo 1978, data del suo rapimento e della strage di via Fani. L’indissolubile legame della testimonianza di Moro con la docenza è confermato anche dal volume “A lezione da Aldo Moro. Ricordi e memorie dalle aule universitarie”, curato e introdotto da Giorgio Caravale (Roma, Foglio edizioni, 2023) con i contributi degli allievi romani Francesco Saverio Fortuna, Valter Mainetti, Fortunato Nino Lazzaro, Franco Tritto, Giorgio Balzoni, Giovanni Castelvecchio.